Secondo il Financial Times, gli Stati Uniti sono pronti a concedere un prestito a Kiev, «che dovrà essere ripagato dai profitti derivanti dai beni russi congelati, se l’UE estenderà indefinitamente le sanzioni contro Mosca». Tutto molto contorto (‘estenderà indefinitamente’), anche nel dirlo. Tecnicamente significa, che gli americani pagano subito. Di gran corsa. Vogliono gettare nelle trincee del Donbass nuove armi e munizioni di ogni tipo, perché temono che il fronte ucraino, sotto pressione da tutte le parti, uno di questi giorni possa crollare. Biden, però, nel mezzo di una campagna elettorale senza esclusione di colpi, non può più far pagare il costo della guerra in Ucraina ai contribuenti Usa. Così, Washington cerca di cautelarsi.
«Biden ha bisogno – aggiunge il FT – che l’Unione prolunghi le sanzioni del blocco sui beni statali russi fino alla fine della guerra per garantire che gli Stati Uniti non siano lasciati in balia dei rimborsi».
La richiesta della Casa Bianca, abbastanza secca (per non dire perentoria), ha un senso, perché la maggior parte dei depositi finanziari russi congelati, si trova in Belgio. Nei forzieri di Euroclear, i capitali e i titoli delle banche di Mosca generano qualcosa come tre miliardi di dollari all’anno di interessi. Appropriarsene, naturalmente, pone dei problemi politici, anche perché il Cremlino ha già cominciato a vendicarsi. Putin ha dato ordine di nazionalizzare molti asset occidentali. Così, se l’Occidente «sequestra i soldi del Cremlino», Putin risponde e spoglia l’Occidente. Anche per questo ci sono titubanze e qualche perplessità in seno all’Unione. Ma Biden ‘vuole’ che i nodi siano sciolti prima del vertice del G7, in Italia, la prossima settimana.
Per lui sarebbe molto ‘redditizio’, anche dal punto di vista della sua immagine, poter dare un annuncio di questo tipo. Però, non mancano i problemi. Innanzitutto, bisogna fare i conti con lo scoglio rappresentando dall’Ungheria di Orban, che sicuramente non condividerà la strategia americana. E poi, avverte sempre il FT, si tratta di un progetto finanziario ancora tutto da definire, sostanzialmente molto vago. Non si parla né di tassi di interesse, né di scadenze e nemmeno di istituzioni intermediarie (come la Banca Mondiale). Insomma, sottoponendo l’operazione a una più attenta riflessione, sulle reali motivazioni che spingono gli Stati Uniti a esigere l’impegno dell’Europa per l’Ucraina, traspaiono chiaramente obiettivi geopolitici di lungo periodo.
Obiettivi poco limpidi e sospettabili. L’America che cerca di compattare un gruppo di partner come l’Unione, che qualche volta (poche), pensa e si muove non proprio in sintonia con l’Alleanza atlantica.
Si potrebbe quasi parlare di un ‘Occidente asimmetrico’ in cui le varie organizzazioni sovranazionali si intersecano e si sovrappongono. E qualche volta si scontrano anche. Quello dell’Ucraina sembra un caso-scuola. Lasciando perdere le divergenze sul trasferimento di armi letali e sul loro potenziali utilizzo, esiste anche un problema di ‘finanziamento della guerra’.
«Se i profitti non riuscissero a soddisfare i rimborsi richiesti – scrive preoccupato il Financial Times – o se l’UE non riuscisse a concordare un rinnovo delle sanzioni, gli Usa sarebbero potenzialmente responsabili. Per questo stanno discutendo nuove opzioni, per condividere il rischio con gli altri Paesi del G7 (tra cui l’Italia, n.d.r.)».
Per esempio? Prestiti bilaterali, garantiti dagli interessi sui capitali russi ‘congelati’ in ogni singolo Stato. In quel caso, rischierebbero l’osso del collo le imprese occidentali più presenti in Russia, che potrebbero essere nazionalizzate. La verità è che senza un piano preciso di una uscita dal conflitto, è impossibile calcolarne i costi e la sostenibilità. Si vive, insomma, alla giornata.
Ha detto Albert Einstein: «La follia è ripetere sempre la stessa cosa e aspettarsi un risultato diverso».