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L’aviazione di Tel Aviv ha bombardato una tendopoli affollata di profughi palestinesi disperati, a Tal al-Sultan di Rafah, all’interno del blocco 2371, che secondo la Protezione civile di Gaza era stata designata come «area sicura». Hanno causato almeno 45 morti, tra cui molte donne e bambini e decine di feriti.
Gli israeliani (al solito) hanno detto «di avere aperto un’inchiesta», e che l’area colpita non rientrava tra quelle protette. Anche se era dentro la città, e se gli abitanti dicono di essere stati confusi da messaggi di evacuazione controversi. E comunque, aggiungono che nessun avviso di bombardamento era arrivato.
Il britannico Guardian forse risolve il mistero. O, meglio, il trucco. Le mappe della «sicurezza» cambiano, quasi ogni giorno. Così la zona bombardata, il 22 maggio, risultava «sicura». Poi gli israeliani hanno rivisto tutto, anche se dicono «di avere rispettato la legge». Ma, secondo quanto imposto dalla Corte Internazionale di Giustizia, il loro comportamento è assolutamente in contrasto con le direttive dei giudici.
Il portavoce dell’IDF sostiene che sono stati presi di mira membri anziani di Hamas. E l’azione è stata condotta «secondo il diritto internazionale, utilizzando munizioni precise e sulla base di informazioni di intelligence precedenti che indicavano un uso dell’area da parte di Hamas. L’IDF è a conoscenza dell’affermazione che a causa dell’attacco e del conseguente incendio, un certo numero di persone, non coinvolte, sono state colpite. L’incidente è in fase di esame».
Da parte sua, parlando alla Knesset, il Premier Netanyahu è tornato sul mantra (ormai un po’ logoro) del «tragico errore» per spiegare l’ennesimo massacro compiuto a Gaza. E, tanto per non lasciare illusioni a nessuno (principalmente a Biden) ha anche detto che «ha evitato di attaccare l’Iran», ma che a Rafah non rinuncia e farà di testa sua. Mandando a quel paese, aggiungiamo noi, in un colpo solo la Corte dell’Onu e i «consigli» della Casa Bianca. In effetti, in questa fase, gli Stati Uniti, più ancora di Israele, sono il vero anello debole della catena. Si sono esposti in maniera imperdonabile davanti al mondo, hanno sostenuto Netanyahu fino alle estreme conseguenze, non hanno ottenuto nessun risultato reale e ora non sanno semplicemente che cosa fare.
Il comunicato emesso dal Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa è sconcertante: «Israele ha il diritto di attaccare Hamas – dice la nota – e comprendiamo che quest’attacco ha ucciso due importanti terroristi, responsabili di assalti contro civili israeliani. Ma siamo stati chiari, Israele deve prendere ogni precauzione possibile per proteggere i civili». Non una parola di condanna, specie dopo la pesante sentenza di venerdì emessa dalla Corte dell’Aja. È l’atteggiamento di una superpotenza, che ormai sembra un transatlantico che ha perso il timone e naviga a vista. Biden non si accorge che, nel tritarne di Gaza, sta maciullando quel che resta della solidarietà occidentale. L’Unione Europea, già percorsa da mille tremori, diventati ormai vere fibrillazioni geopolitiche, si va spaccando. Ma soprattutto si allarga il fossato tra le due sponde dell’Atlantico.
Ieri, l’intervento dell’Alto rappresentante per la Politica estera comunitaria, Josep Borrell, è stato di inusitata durezza. Forse mai, come in questo caso, la vecchia Europa aveva trovato il coraggio di staccarsi clamorosamente dai diktat della Casa Bianca, influenzata dalle lobby finanziarie internazionali. Borrell ha detto di essere «inorridito dalle notizie provenienti da Rafah sugli attacchi israeliani, che hanno ucciso dozzine di sfollati, compresi bambini piccoli. Condanno tutto questo nei termini più forti. Non esiste un posto sicuro a Gaza – ha proseguito Borrell – questi attacchi devono cessare immediatamente. Gli ordini della Corte di Giustizia e il diritto internazionale umanitario devono essere rispettati da tutte le parti».
Intanto, i Ministri degli Esteri dell’Unione, proprio prendendo spunto dal massacro di Rafah, hanno chiesto una verifica del Trattato di associazione con Israele. Ferma anche la condanna di tutto il mondo arabo e, in particolare, di Egitto e Giordania.