
L’estrema destra tedesca che si preparano a dare l’assalto alla fortezza Europa. Alternative fur Deutschland (AfD), alle elezioni per il Parlamento di Strasburgo, ci arriva con un programma semplice ma truculento: cavalcare lo tsunami delle crisi, fare leva sull’inevitabile malcontento popolare e scaricare tutte le colpe su un governo riformista ‘imbelle e venduto’ (quello di Scholz), e su un’Unione ‘nata per i popoli ma finita al servizio dei mercanti’.
Maximilian Krah, esponente di questo impetuoso espansionismo tedesco contro Bruxelles, è scivolato. E in un’intervista, l’erede spirituale di «Grosse Deutschland», si è fatto scappare dalla bocca che «non tutte le SS erano criminali». E quello che molti avevano trascurato o, forse, colpevolmente sottovalutato, cacciato dalla porta rientrava dalla finestra. Non tanto e non soltanto una destra populista, un po’ bottegaia, molto sanfedista, discretamente xenofoba, bellicista e col culto del manganello. No, peggio. La riproposizione, sul filo della memoria, di un regime che ha rappresentato la negazione del concetto stesso di umanità. Perché, chi ha studiato bene il nazismo in tutte le sue pieghe, sa che quell’indicibile orrore non è stato il prodotto della mente malata di una sola persona.
Inutile perdere tempo con Krah, perché è stato mollato anche da Marine Le Pen, pressoché in diretta. La leader di Rassemblement National, il partito che in Francia alle prossime Europee gode già del vantaggio nei sondaggi, ha detto che con i colleghi dell’estrema destra tedesca, dopo le ultime sparate di Krah, non ci può essere nessuna forma di collaborazione. «Era urgente distanziarsi perché l’AfD passa di provocazione in provocazione. Ma ora non è più solo il momento di prendere le distanze, è il momento di dare un taglio netto con questo movimento». Certo, bisognerà vedere come reagirà tutto il blocco di Identità e Democrazia (ID), che comprende anche il Partito della Libertà austriaco, la Lega italiana e i fiamminghi di Vlaams Belang. Quest’area dovrebbe passare da 59 a circa 85 deputati. In crescita anche le altre destre. Cioè gli aderenti al gruppo ECR (Conservatori e Riformisti), una strana mescolanza, di cui fanno parte la Meloni con FDL, gli spagnoli di Vox, i polacchi di PiS (Diritto e Giustizia) e i movimenti finlandesi e svedesi. Comunque sia, la dura crisi economica, quasi un biennio di alta inflazione, e le gravi crisi internazionali (Ucraina in primis), peseranno molto sul voto di giugno.
I neo-nazi di AfD, sull’abbrivio della crescita avuta nei mesi scorsi, probabilmente cresceranno. Ma meno di quanto speravano. L’odore di vittoria li ha fatti venire fuori al naturale e gli ha fatto esprimere posizioni ritenute, in diversi casi, assolutamente preoccupanti. Come il dibattito avviato, all’inizio dell’anno, sull’eventuale espulsione di immigrati in attesa di ottenere il permesso di soggiorno. Ma, inutile dirlo, più che sulla Germania, ritenuta ancora la grande malata d’Europa, in questo momento i riflettori sono puntati sulle mosse di Marine Le Pen. Il suo partito, affidato come capolista per le Europee a Jordan Bardella, si avvia ancora una volta a vincere. Quindi, Madame Marina lavora per il futuro e i suoi occhi puntano sull’Eliseo. Sta preparando la successione a Macron nel 2027 e ha bisogno di costruire attorno a sé l’immagine di una «destra, ma non tanto». Un blocco in cui possano convivere elementi popolari, populisti e democratici, con una giusta spruzzata d’Europa e qualche piccante pizzico di anti-americanismo.
E qui bisogna concludere la nostra riflessione, cercando di capire se sta veramente crescendo un movimento politico di destra, europeo, che abbia delle affinità evidenti. La nostra risposta è no. Ci sono delle differenze sostanziali, come abbiamo visto, nelle regioni dell’Unione, dettate da specificità che sono la risultante di un vissuto ereditario ineludibile.
Un’Europa sostanzialmente a tre velocità, considerando parametri economici e di sistema, esprime, in molte scelte di fondo, valori comuni, ma interessi diversi. Le popolazioni reagiscono alle fasi di transizione (si pensi agli shock degli ultimi 4 anni) con risposte che non sono mai univoche. A volte sono ‘populiste’, a volte sono ‘popolari’. Dipende, da chi vince e da chi perde.