Gantz non condivide, come molti altri esponenti politici dello Stato ebraico, la deriva nazional-religiosa dell’esecutivo. Un marcato sbilanciamento a destra, condizionato da ministri come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Le cui dichiarazioni, seguite da continue ‘miscalculations’, presunti errori sul campo di battaglia, stanno isolando Israele nei rapporti internazionali, danneggiando persino le relazioni con gli Stati Uniti. Netanyahu, di conseguenza, viene accusato di assistere quasi impotente (o compiacente?) di fronte ai fatti. Inoltre, sostiene il leader dell’Unione Nazionale, nonostante tutte le pressioni e i continui richiami (anche del Dipartimento di Stato) finora il governo di Tel Aviv non ha elaborato alcuna ‘road map’, un percorso per la sistemazione di Gaza nel dopoguerra.
«Primo Ministro Netanyahu – ha detto Gantz – stasera ti guardo negli occhi e ti dico: la scelta è nelle tue mani. Il Netanyahu di 10 anni fa avrebbe fatto la cosa giusta. Siete disposti a fare la cosa giusta e patriottica oggi? Perché il popolo d’Israele ti sta guardando. E tu devi scegliere tra il sionismo e il cinismo, tra l’unità e la faziosità, tra la responsabilità e l’illegalità. E, infine, tra la vittoria e il disastro».
Da bravo e meticoloso generale, nel corso della conferenza stampa, Benny Gantz ha poi elencato, con grande dovizia di particolari, le clausole e i punti che il premier si dovrà impegnare a osservare se vorrà riuscire a tenere in piedi il governo. Nell’ordine, Gantz ha chiesto che entro l’8 giugno venga approvato un piano per realizzare sei obiettivi strategici.
Ci sono alcuni temi ricorrenti, che tornano nelle polemiche di questi giorni. Ma, in particolare, i punti 3 e 5 sembrano scritti sotto dettatura di Blinken. Nel senso, che vanno incontro a molte delle aspettative degli americani (o di Biden) che Netanyahu finora ha deluso. Questo vuol dire che gli Stati Uniti, visto il ginepraio geopolitico in cui si sono cacciati, potrebbero ‘cambiare cavallo’? Certo, Benny Gantz, se Israele dovesse andare a votare a breve, potrebbe rappresentare una buona scommessa per Washington. Ma in questo momento, la situazione interna israeliana è esplosiva. E qualsiasi mossa esterna potrebbe essere fraintesa.
Gli americani, ferocemente divisi dalle loro prossime Presidenziali, usano sempre più la tragedia Gaza come arma elettorale con cui scontrarsi. In casa e in trasferta. Ieri, alla Knesset, il Parlamento israeliano, c’era Elise Stefanik, una repubblicana fedelissima di Trump, venuta a ‘portare conforto’ a Netanyahu. Nel frattempo, l’Ufficio stampa del premier si è espresso in modo tagliente sulle parole usate da Gantz. «Mentre i nostri eroici soldati stanno combattendo per distruggere i battaglioni di Hamas a Rafah – si legge in una nota – Gantz sceglie di emettere un ultimatum al Primo Ministro, invece di lanciarlo ad Hamas».
Durissimo il resto della replica del leader del Likud che, a giudicare dal tono usato, sembra pronto a qualsiasi evenienza. «Le condizioni poste da Benny Gantz sono parole riciclate il cui significato è chiaro: la fine della guerra e la sconfitta di Israele, l’abbandono della maggior parte degli ostaggi, il mantenimento intatto dal governo di Hamas e la creazione di uno Stato palestinese». Forzature ormai elettorali, con risposta, anche questa pesante, di Gantz: «Se il governo di emergenza è importante per il primo ministro – ha replicato – lui dovrebbe tenere le discussioni necessarie, prendere le decisioni necessarie e non trascinare i piedi per paura degli estremisti del suo governo».
Mercoledì scorso il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, aveva detto che non avrebbe accettato «nessun governo militare a Gaza» e di avere chiesto (senza risposta) quale piano ci fosse per amministrare la Striscia. Fonti (anonime) del partito di Ganz, cioè l’Unione Nazionale, affermano che l’ultimatum è il primo passo per far cadere il governo. Aspettiamo l’8 giugno.