Dopo la liberazione dell’Ucraina da parte dell’Armata Rossa nell’estate del 1944 il destino degli ucraini cambiò radicalmente: molti tra coloro i quali avevano collaborato con gli occupanti nazisti riuscirono a fuggire in Germania ed altrettanti furono arrestati e processati dai sovietici. In realtà una parte abbastanza consistente continuò invece a combattere per l’indipendenza dell’Ucraina sia dall’Unione Sovietica che dalla Polonia: disponendo di consistenti quantità di armi e munizioni abbandonate dai belligeranti, si ritirano nei boschi e nelle zone paludose con l’intenzione di impedire la pace a tutti i costi, ma si ritrovarono invece nel pieno della «guerra fredda».
La risposta sovietica e polacca nella parte occidentale dell’Ucraina fu dapprima una normalizzazione forzata attraverso uno scambio di popolazioni che interessò più di un milione di individui: poiché i nuovi confini polacchi inglobavano parti di territorio tedesco (Slesia e Prussia orientale) furono fatti affluire polacchi dalla parte occidentale dell’Ucraina collocando al loro posto ucraini prima ‘polacchi’.
Nel 1947 infine, per rendere etnicamente omogenea la fascia intorno al confine, gli ultimi ucraini rimasti furono ‘dispersi’ nel nord della Polonia, mentre si intensificarono altri spostamenti in territorio russo. In altre parole, si crearono le condizioni per una guerra civile e bande di indipendentisti ucraini continuarono ancora a lungo una guerra clandestina.
Tra i tanti ricercati dalla polizia segreta sovietica spiccò allora la figura di «Barsuk» (tasso), un ucraino descritto in un rapporto come dotato di capacità organizzative straordinarie e di notevole coraggio: nel corso di un’operazione di rastrellamento si era sottratto alla cattura nascondendosi per ore sotto il pelo dell’acqua di uno stagno e continuando a respirare attraverso una cannuccia. Nel 1952, a sette anni dalla fine della guerra, Vasyl Kuk era il ricercato numero uno, ma sulla scheda segnaletica della polizia alcune note non erano nemmeno esatte: secondo alcuni era di corporatura media, mentre secondo altri era capace di una forza straordinaria.
Nato nel 1913 – dunque ‘suddito austriaco’ – aveva abbracciato la causa negli anni Trenta partecipando soprattutto ad attentati contro politici polacchi e dopo la Seconda guerra mondiale aveva affrontato sul campo in una piccola battaglia campale trentamila uomini dell’NKVD, le forze di sicurezza del ministero dell’interno sovietico prima del KGB. Il movimento era uscito duramente provato, ma non sconfitto e la lotta era continuata.
Agli inizi del 1947 le autorità russe, che stimavano in circa cinquemila i ribelli chiamandoli ‘banditi controrivoluzionari’, avviarono anche deportazioni in Siberia, ma senza risultati. Per colpire ulteriormente il movimento ed impedire che i contadini lo appoggiassero, una mossa fu anche l’inglobamento della chiesa ucraina (cattolica di rito greco) nella chiesa ortodossa russa.
Kuk infine fu catturato dai sovietici nel 1954, verosimilmente a causa di una delazione. Non subì mai un processo pubblico e rimase in una prigione speciale del KGB fino al 1960, quando ufficialmente fu amnistiato. Dopo il carcere, in una trasmissione radiofonica – destinata ad ascoltatori all’estero, ma non diffusa in Unione Sovietica – ammise i suoi sentimenti anti russi e il suo operato, ma esortò anche alla pacificazione, alla fratellanza e all’opportunità di vivere in pace nella ‘nuova Ucraina’.
Non fu escluso un intervento di Kruscev: Stalin infatti lo aveva incaricato di risolvere la ‘questione ucraina’ ed è noto che – fino alla morte del dittatore – Kruscev sia spesso ‘scomparso’ da Mosca per intere settimane, mentre invece si trovava a Kiev o a Lvov.
Dopo il 1989 si è tornato a parlare del movimento indipendentista ucraino, soprattutto per i suoi controversi legami con il nazismo, ma non tutto è emerso per i tanti motivi di imbarazzo che avrebbe suscitato da entrambe le parti. Una chiara testimonianza della lotta cruenta svoltasi negli anni del dopoguerra resta ora però nei cimiteri militari sovietici.
Furono tutti costruiti per celebrare la vittoria dopo il 1945, ma vi furono inumati anche molti soldati russi morti fino agli anni Cinquanta nelle imboscate ucraine. Le date di morte sulle lapidi insomma non tornano.