Putin 25 anni al Cremlino: guerra, amici e nemici, chi c’era e chi non c’era

Al culmine delle tensioni con i governi europei, il presidente russo inaugura il suo quinto mandato, il primo dopo invasione Ucraina, col boicottaggio diplomatico occidentale. Il portavoce del Cremlino vanta la presenza di oltre 2mila persone alla cerimonia. Grandi assenti i leader occidentali: presenti, oltre all’ambasciatore francese, i rappresentanti di Ungheria, Slovacchia, Grecia, Malta e Cipro.

Sfarzo e isolamento ma solo occidentale

Con la sfarzosa cerimonia d’insediamento di ieri, tenuta nella splendida Sala di Sant’Andrea, al Cremlino, Putin ha voluto mandare un preciso segnale politico a tutti: il potere della Russia è ancora saldamente nelle sue mani. Nonostante i burrascosi rapporti con l’Occidente, la diplomazia di Mosca si era attivata per invitarne gli ambasciatori, ma Zelenski aveva lanciato un appello, affinché l’evento fosse disertato. Quasi tutti hanno trovato delle scuse di comodo, che potremmo, appunto, definire ‘diplomatiche’. La più gettonata è stata quella di lasciare la sede di rappresentanza vacante per qualche giorno, facendo assentare l’ambasciatore. Il trucco però, non è riuscito perfettamente, perché ci sono stati dei Paesi che hanno rotto il fronte dell’Unione Europea e hanno scelto di andare a stringere la mano a Putin. Nell’ordine, alla cerimonia del Cremlino erano presenti anche: Malta, Cipro, Slovacchia, Grecia, Ungheria e, udite udite, la Francia.

Francia che vuole fare la guerra in Ucraina

Si, avete letto bene. Accanto agli ambasciatori del tanto vituperato Orban e di Robert Fico, c’era pure quello di Monsieur Macron, cioè del capo di Stato che, non più tardi di qualche giorno fa, ha evocato l’intervento diretto delle truppe della Nato in Ucraina. Macron è, come si dice, un ‘realpolitiker’, nel senso che di fronte agli interessi nazionali, spesso, mette da parte i grandi sofismi ideologici. Un po’ quello che ha cercato di fare, finora, il Cancelliere tedesco Scholz, ma con la Cina. Anche se, in quel caso (forse perché c’erano in ballo molti soldi), tutti hanno accusato la Germania di eccessiva ‘compiacenza’. Comunque sia, la riflessione finale che si può fare, sulla politica estera dell’Unione, è che ancora una volta, davanti alle crisi più importanti, si dimostra confusa ed esitante.

Putin verso i 31 anni al potere

Il Presidente Putin è giunto al suo quinto mandato, dopo elezioni che in Occidente sono state definite una farsa, ma che lo terranno saldamente in carica per altri sei anni. Smontando così una delle principali strategie studiate dalla Casa Bianca per risolvere vittoriosamente la guerra in Ucraina. Cioè, il progressivo logoramento della Russia. Un obiettivo da raggiungere attraverso l’impoverimento indotto dalle sanzioni, per costringerla a un cambio di regime. Proprio defenestrando Putin. Invece, a quanto pare, bisognerà ancora fare i conti con lui per diverso tempo. Il New York Times, addirittura, vaticina che «se resterà in carica per tutto il suo nuovo mandato, diventerà il leader russo più longevo dai tempi dell’imperatrice Caterina la Grande, nel XVIII secolo». Caterina che di russo, però, aveva solo il marito, perché era tedesca di nascita.

Zar Vladimir Vladimirovic

Zar, anche nei fatti, dunque, Vladimir Vladimirovic. Che intanto si accinge a eguagliare gli anni di (non tanto) onorata carriera, passati dietro la scrivania del potere, al Cremlino, da un altro personaggio storico di primo piano: Josip Stalin. Con cotanta illustre compagnia alle spalle, si capisce perché Putin, nel suo discorso, si sia librato molto in alto, parlando di geopolitica, ma anche di cose più concrete come i «reciproci interessi» sui quali ci si potrebbe mettere d’accordo con l’Occidente. Lo ha fatto, al solito suo, alternando il bastone e la carota. Secondo diversi analisti, i suoi messaggi sono stati mirati per andare in due direzioni. Una, ovviamente, è quella degli Stati Uniti e dell’Europa, ai quali è stato ribadito (indirettamente) che non devono sperare in un cambio di regime.

Biden forse cade, ma lui no

Lui è forte e controlla tutte le leve del potere. Sembra essere questo, prima di tutto, il significato subliminale della cerimonia d’insediamento, organizzata come se fosse un’incoronazione. Un copione completato dal Patriarca della Chiesa ortodossa, Kirill I, in prima fila a ‘ungere’ il Presidente, come si faceva nella Francia medievale con i «Re taumaturghi». Proprio la liturgia del potere della Nuova Russia, celebrata fondendo l’eredità della cultura sovietica con i simboli, anche religiosi, del vecchio impero zarista, è l’esempio più evidente dell’ibridazione di un sistema politico e sociale fin troppo complesso. Che forse non riusciamo a comprendere. Giusto nella fusione tra Chiesa e Stato, Putin ha costruito un serbatoio di consensi che esistono, come testimoniano le cifre (affidabili) dell’Istituto di rilevamento indipendente Levada

Quale misura del reale consenso?

I dati (87% di preferenze) e un’elevata partecipazione (77% circa) alle recenti Presidenziali vanno presi per quelli che sono. Cioè, numeri assolutamente non verificabili. Ma questa è una parte del discorso. L’altra parte è che i maggiori pericoli, per la conservazione del potere di Putin, più che dall’estero possono arrivare dallo stesso establishment del Cremlino. E non è detto che un suo eventuale ‘sostituto’, per l’Occidente sia meglio dell’originale.
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