
Caos sull’orlo del massacro senza sapere -noi e voi- se siamo alla vigilia della tanto sospirato ‘cessate il fuoco’ o se l’esercito israeliano che sta sparando sia davvero partito per l’attacco-macello su Rafah. Oltre quello che abbiamo anticipato in sommario, sappiamo delle pressioni minacciose dell’ultra destra religiosa allo stesso Natanyahu, «Un coro ultraradicale guidato dai ministri Itamar Ben Gvir e Nir Barkat», lo descrive Michele Giorgio sul Manifesto, che incita il governo a ignorare l’accettazione da parte di Hamas dell’accordo di cessate il fuoco, e a dare il via libera all’attacco Rafah. Un pezzo di Israele che chiede la ‘soluzione finale’ per la Striscia e per Hamas. E i familiari degli ostaggi che sono tornati a bloccare un’autostrada per chiedere che stavolta «non si perda l’occasione».
Israele ha colpito la città di Rafah durante la notte, ‘pressione’ su Hamas in vista dei colloqui di oggi in Egitto. Un corrispondente dell’AFP ha riferito di pesanti bombardamenti che si sono susseguiti per tutta la notte mentre l’ospedale kuwaitiano, presente nel perimetro cittadino, ha dichiarato che alle prime ore di oggi già cinque persone erano rimaste uccise e molte altre ferite negli attacchi aerei. Almeno altre 12 persone che sono state uccise in vari attacchi su Rafah stanotte «mentre l’esercito israeliano intensifica il bombardamento della città nel sud di Gaza». Da Tel Aviv, «Israele sta continuando l’operazione a Rafah per esercitare una pressione militare su Hamas per ottenere il rilascio dei nostri ostaggi e il conseguimento degli altri obiettivi della guerra».
Rinnovando l’appello a lasciare Rafah, il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha sottolineato come le azioni per ora non si fermeranno. Le autorità palestinesi riferiscono di migliaia di gazawi che stanno lasciando la parte orientale della città. 100 mila le persone che dovrebbero spostarsi, per il portavoce militare israeliano. Spostarsi per andare dove, se non c’è abbastanza spazio neppure per piantare una tenda, la domanda disperata. Le «aree umanitarie» indicate dall’esercito, sono la costiera di al-Mawasi e la città distrutta di Khan Yunis. L’Onu: «Hanno chiesto a centomila persone di andare verso la zona vicino al mare, ma si tratta di un’area già strapiena».
E cresce l’allarme internazionale sulle possibili conseguenze di un’invasione di terra israeliana a Rafah. «Intollerabile per le sue devastanti conseguenze umanitarie e per il suo impatto destabilizzante sulla regione», ha ammonito il Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, invitando Israele e Hamas a fare ‘un passo in più’ per raggiungere un accordo. Anche il ministero degli Esteri egiziano insiste sui gravi rischi umanitari a ridosso del suo confine. Il re giordano Abdullah II chiama in causa direttamente il presidente statunitense Joe Biden chiedendogli di intervenire, ma ‘con decisione’, è il sottinteso dell’emergenza.
In una conversazione con Netanyahu lunedì, Biden ha ribadito «la sua posizione contraria a un’invasione della città». Vedremo presto se pesano di più le parole del presidente Usa e quelle apertamente minacciose dei suoi compari estremisti di casa.
Scene di gioia e spari in aria a Rafah, dopo il sì di Hamas alla proposta di una tregua, testimonia Avvenire. Da Doha il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha informato il premier del Qatar e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel, mediatori assieme alla Cia, «dell’approvazione da parte del movimento della loro proposta sull’accordo di cessate il fuoco». Haniyeh ha informato anche l’Iran. Hamas accetta una prima tregua di 42 giorni, durante i quali si impegnerebbe a rilasciare una trentina di ostaggi vivi in cambio del rientro degli sfollati al Nord, del rilascio di un numero imprecisato di detenuti palestinesi e di garanzie per la ricostruzione. «La palla è ora nel campo di Israele» ha detto un esponente del gruppo.
Yonatan Mendel, docente di studi mediorientali dell’Università Ben Gurion, che conosce stili e strategie di Hamas, sentito da Lucia Capuzzi, di Avvenire. «La mossa di Hanyeh ha passato la ‘patata bollente’ a Israele senza rinunciare del tutto al proprio obiettivo. Diciamo che raggiunge un risultato e mezzo. Hamas è convinta che dopo un cessate il fuoco di sei settimane la guerra non riprenderà e dice di avere avuto assicurazioni in tal senso. Una ‘foto’ parziale, che però ottiene di mostrare ai palestinesi le immagini delle migliaia di prigionieri rilasciati di vari gruppi: Hamas, Fatah, Jihad islamica, incluso Marwan Barghouti che gode di un apprezzamento bipartisan».
Netanyahu ora deve decidere se e come procedere. Il costo politico di far saltare tutto potrebbe risultare salato date le crescenti proteste per gli ostaggi. D’altra parte, il premier sa che la propria coalizione potrebbe non reggere l’urto dell’accordo.
Per quanto riguarda Hamas: «Non potrà più controllare Gaza come ha fatto fino al 6 ottobre. Questo non significherà, però, la sua scomparsa. Hamas è un’ideologia e un movimento, impossibile da sconfiggere con una guerra. Continuerà ad esistere indipendentemente dal fatto che l’ala militare smetta di amministrare la Striscia».