Resistere sulla soglia dell’epoca

Da quando non faccio più il giornalista ho più occasioni per incontrare le persone che vivono la vita di ogni giorno. Nella libreria, vineria, avamposto culturale e portineria di comunità sulla strada nel borgo del mio paese passa il mondo. Un mondo sorprendente, curioso, pieno di domande e spesso di risposte, in una modalità di rara ricchezza che possiamo tradurre come “nel dono dell’incontro”.

Il dono dell’incontro

Giovani e meno giovani, pensionati che si prendono per mano, cercatori di storie, di piccole storie che rientrano nel flusso di quel pensare in piccolo che si sottrae alla furia del successo e delle mode del pensare in grande. Non passano influencer, o se passano noi non lo sappiamo e non lo consideriamo. Passano viandanti, camminatori, scopritori di bellezza che si godono la magnifica terra, che colgono questa interruzione di ritmo, un modo meno frenetico di vedere le cose spulciando tra libri non accatastati secondo le regole dei supermercati, scegliendo vini di vignaioli, prodotti dalle stesse mani callose che vanno in vigna; mangiando cibo che non viaggia, del territorio, fatto da esseri umani che hanno un nome e un cognome, che vivono nei dintorni.

Tra la scoperta e il ‘già noto’

Però sulle strade, e non solo, direi nella mentalità del tempo, cresce il numero delle persone che considerano solo il brand, che cercano il già noto, rinunciando al piacere sopraffino della scoperta, del libro fuori dalle classifiche, dell’oggetto d’arte bellissimo realizzato da mani geniali, che parla da solo e non viene preceduto dall’indicazione di mercato che accende una luce per dirti: questa è un’opera di valore. Il turismo di massa, anche quello culturale, si basa sull’omologazione, sulle foto scattate in fila ai luoghi iconici, sul considerare solo quello che mediaticamente viene sovraesposto. Porta con sé una visione colonizzata dei territori che per rendersi ancora più appetibili tendono a somigliare all’idea cartonata del marketing che li anima. È come un’autostrada che attraversa paesaggi magnifici senza vederli, muovendo velocemente le persone dal luogo x al luogo y.

La Toscana di Netfix

Pazienza, dice il barbiere anarchico che nelle settimane scorse ha fatto i conti con il nostro paese risistemato per il film Netflix secondo la visione che gli americani hanno della Toscana. Per questo servono inciampi. Punti di vista diversi, sovversivi e critici, per raccontare la diversità che rende le comunità che vivono sui territori patrimonio culturale e non scenografie umane per visioni assuefatte.

Per esempio noi resistiamo alle perfidie del tempo.

Aver lavorato in questi anni per spalancare l’uscio dell’avamposto culturale ha fatto sì che il dialogo riprendesse a tessere sulla soglia delle diversità. Dall’uscio si esce, ma si entra anche. Così a fronte di appannati viaggiatori col telefonino alto come fosse una bandiera e riprendere il tutto e il niente, guidati da punti di arrivo e di sbarco, alla ricerca dei Campi Elisi del Gladiatore, ce ne sono tanti, tantissimi che scelgono la lentezza del pensiero. Che sanno godere delle meraviglie inattese. Dei sentieri senza macchine, dei silenzi, dei cespugli di more, della sulla che torna a dipingere il paesaggio, delle storie che si tramandano e sono uniche e dolci. Sono memoria che non deve essere cancellata ma deve operare nel presente, per non farci colonizzare il futuro.

La bruttezza è dietro l’angolo. E spirano venti feroci e devastanti, nascosti dietro finti sorrisi plastificati a celare il ghigno truce del tempo. Resistere è il primo passo.

 

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