
L’alto rappresentante usa definisce Bibi Netanyahu ‘uomo di paglia’ e lo accusa di straparlare, «dicendo sciocchezze». Sullo sfondo si muovono fin che ne hanno le forze oltre un milione di disperati palestinesi, profughi imbottigliati nell’estremo sud della Striscia, e qualche miliardo di esseri umani nel resto del mondo. Sempre più sgomenti, questi ultimi, per il fatto che la superpotenza Usa, madre di tutte le libertà, non riesca a garantire il diritto alla vita a poche centinaia di migliaia di donne, bambini, anziani e malati presi in mezzo dalla guerra. Qualcuno bara. O più probabilmente, i rapporti tra gli Stati Uniti e il governo Netanyahu sono veramente arrivati a una svolta imprevedibile.
Netanyahu dice che andranno presto all’attacco, a Rafah, scavando un solco sempre più profondo con l’attuale Casa Bianca, con effetto politici potenzialmente dirompenti.
Una situazione paradossale, quasi kafkiana. Perché, finora, è stato solo il considerevole aiuto militare e finanziario americano a rendere possibili i devastanti bombardamenti su Gaza, che hanno causato quasi 32 mila morti. Quindi, ci si aspetterebbe un rispetto maggiore, da parte di Tel Aviv, per i ‘consigli americani’. Invece, l’ultima puntata, di questa tragica commedia delle parti dimostra l’opposto. Biden e Netanyahu si sono sentiti per telefono, dopo molto tempo. E il premier dello Stato ebraico ha chiarito, «di essere in disaccordo con gli Stati Uniti sulla necessità di operare a Rafah». Poi prova ad addolcire dicendosi d’accordo con Biden sul fronte umanitario. Tradotto dal linguaggio diplomatico, significa che Biden può pregare quanto vuole, tanto Netanyahu attaccherà lo stesso, rischiando l’ecatombe umanitaria a Rafah.
Una lucida e spietata determinazione, sostenuta anche dalle parole pronunciate da davanti alla Commissione Affari esteri e Difesa della Knesset: «Non possiamo dire distruggeremo solo l’80% di Hamas perché il restante 20% riconquisterebbe la Striscia di Gaza». Che è esattamente ciò che accadrà, come prevedono tutti gli analisti statunitensi. Insomma, Israele a Rafah preannuncia una inutile lotta all’ultimo sangue. Tutto il contrario di ciò che si aspetta Biden. Ma questa volta Natanyahu è andato davvero troppo oltre, e il troppo accomodante Presidente Usa di ieri contrattacca.
Ha preteso che Netanyahu inviasse di corsa un team di specialisti a Washington, per discutere di come chiudere la partita con Hamas, senza scatenare l’apocalisse a Rafah. Dove, lo ricordiamo, sono praticamente accalcati oltre un milione di rifugiati palestinesi, ridotti alla fame e costretti a vivere in rifugi di fortuna. E la catastrofe umanitaria è già dietro l’angolo. E in caso di attacco israeliano sarebbe assicurata, con un numero di vittime innocenti prevedibilmente spropositato e, soprattutto, con complicazioni di ‘immagine’ pesanti anche per gli Stati Uniti, armieri ufficiali della strage.
Il tempo, però, stringe e gli Usa devono fare qualcosa: dissentire dagli israeliani e riposizionarsi in qualche modo. Almeno per anticipare le accuse di ‘complicità indiretta’, in quello che potrebbe essere il «massacro di Rafah», sia sul campo di battaglia, sia per colpa della carestia indotta.
Secondo Sullivan, Biden è stato molto chiaro con il recalcitrante Netanyahu, ponendo tre ‘linee rosse’, che -parere americano- impediscono di attaccare Rafah. Prima, la sorte del milione di profughi, stipati come sardine in tutta l’area. A seguire, il ruolo di Rafah come principale punto d’ingresso degli aiuti umanitari, e le potenziali implicazioni sui rapporti tra Egitto e Israele.
Se Netanyahu, dunque, dovesse andare avanti nonostante gli avvertimenti, probabile apertura di una crisi, tra Washington e Tel Aviv dagli esiti imprevedibili. «L’attacco porterebbe a più morti civili innocenti, peggiorerebbe la crisi umanitaria, aggraverebbe l’anarchia a Gaza e isolerebbe ulteriormente Israele a livello internazionale». Così si è espresso Jack Sullivan. Ma è come se lo avesse detto Biden.