
Anche se indossano il doppiopetto, o la divisa, oppure vestono Prada e si dichiarano democratici, gratta gratta viene fuori la camicia nera culturale, quel modo spiccio e feroce di essere cristiani fregandosene del prossimo, di onorare di nascosto il busto del Duce, tollerando la goliardia che si esprime una volta con le mani a paletta nelle rievocazioni nostalgiche, un’altra nelle curve dove buona parte dell’universo ultras aderisce alla fascisteria dei modi, come mentalità e risentimento. Per non parlare della venerazione per il decisionismo che scava scava è sempre depositato in fondo al cuore pavido dell’italiano medio, razzista, qualunquista, ignorante e quindi votato naturalmente a diverse forme di fascismo del terzo millennio, che siano quelle tragiche caricaturali, che quelle drammatiche tecnocratiche, ciniche, spietate e senza dare nell’occhio.
Fascisterie democratiche nei modi, trucide nei fatti: tipo far morire in mare i disperati, farli rinchiudere nei lager, dare al decoro delle città un’impronta maschia e definitiva, fatta di poveracci senza casa sgomberati a calci e idranti. O anche godere della distruzione della natura, perché chi prova a pensare in modo ecologico è un gretino,favorire la devastazione del paesaggio perché sopravvalutato, pestare se protestano i lavoratori che perdono il lavoro, dopo orripilanti e legali delocalizzazioni, inventare leggi elettorali talmente poco democratiche che verrebbe voglia di accettare la sconfitta. Che è sempre culturale e quindi politica. Affonda le sue radici nella mentalità, in una parte della storia che dovrebbe aiutarci a capire e che invece viene ignorata. Così ci troviamo sempre a discutere degli effetti, delle emergenze, delle paure, dimenticando ogni passo fatto, di fronte alla nostra indifferenza, per arrivare a questa deriva oscena.
Noi continuiamo a fare del pensiero un’azione, a chiedere a tutti di tornare a occuparsi di cultura, di territorio, di politica; di non delegare acriticamente, ma criticamente stimolare discussioni e azioni, semplici, non virtuali, nel corpo vivo delle nostre comunità. Nei partiti, nelle associazioni, nelle istituzioni, sulle soglie del nostro abitare. Per riprendere il filo interrotto. Per non arrendersi all’evidenza che ci priva di democrazia.