Errando sulle mappe del nostro abitare di incontri e bivi ne abbiamo trovati tanti. Alla deriva dei nostri passi, in una psicogeografia emotiva, poetica, politica, struggente, siamo riusciti a fare e disfare, a voltare pagina, prendere sonore sconfitte in faccia, considerare le peggiori legnate come le occasioni più belle per attivare uno sguardo obliquo e non piatto sul mondo, per cogliere frammenti di senso. Per un momento. Per qualche passo.
Un caro amico, Raffaele Giannetti, mentre chiacchieravamo del più e del meno in vista di un progetto comune, mi ha fatto un esempio che mi ha acceso il cuore. Ha commentato la favola di Esopo sulla volpe e il caprone. In sintesi. La volpe era caduta nel pozzo e rischiava di morire laggiù. Un caprone assetato si affacciò e la vide. A quel punto la volpe si mise a magnificare la freschezza dell’acqua convincendo il caprone a scendere nel pozzo per dissetarsi. Così fece. Una volta giù si pose il problema della risalita, e la volpe spiegò la strategia: caro caprone appoggiati al muro e io salirò su di te, scalerò le corna e una volta su ti aiuterò. Il caprone accettò e la volpe riuscì a uscire dal pozzo, ma una volta libera disse al caprone: sei stato sciocco a scendere fidandoti e senza sapere come risalire, ciao ciao…
Questa favoletta ha una morale ufficiale: bisogna essere furbi e maliziosi per cavarsela a danno degli altri. E così è. Fregare il prossimo è da volpi, farsi fregare per ingenuità è da becchi. Ma è così? Certo, come ricetta per l’infelicità causata da terrapiattismo morale e culturale, falsamente vestita in ghingheri, immagine palese di una sconfitta perenne. Perché alla fine a ridere sonoramente della furbizia banale della volpe è il caprone, colui che ha fiducia nel prossimo, che al bivio prende la strada errata, ed errando crea le condizioni perché il mondo sia migliore e libero da ignobili volpi.
Così Raffaele ha concluso la sua storia, con una morale diversa: la volpe è un’anima perduta che si è appena guadagnato l’inferno, il caprone è un giusto. Rovesciare i luoghi comuni, ci aiuta a spiazzare la realtà conformista e a osservarla meglio, a gettare semi di libertà e di senso nel terreno arido dell’egoismo.
Continueremo a camminare quindi, errabondi, sui passi degli errori. Sedendoci dalla parte del torto, senza paura. Affinando lo sguardo alla diversità, continuando a non accettare per buone le verità della televisione (cit.), facendo dell’errare poesia e della poesia un’arma contro il quieto vivere dei luoghi comuni, del piattume culturale che rende il mondo pieno di volpi paracule, capaci di fregare il prossimo con furbizia, senza mai accorgersi che è una furbizia da schiavi obbedienti. E che la vita implica altre libertà.