America in tour ufficioso in Asia: quasi guerra con la Cina e alleati attoniti

Purtroppo la provocazione Taiwan non è bastata. Dopo il mai spiegato tour politico della presidente uscente del Congresso Usa, si va disegnando il rischio di vero terremoto geopolitico tra molti degli stessi alleati storici statunitensi, in tutta l’immensa area dell’Indo-Pacifico.
La Cina mobilita le sue forze armate per la più grande esercitazione di tutti i tempi, intorno a Taiwan. Ma non solo, scopre Orteca.

Da Limes, carta dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico per la risoluzione Onu di una sola Cina

Asia americana oltre Taiwan e Cina

In Asia non c’è solo paura, ma c’è anche molta irritazione. Anche contro gli Stati Uniti. Qualche Paese lo fa intendere apertamente, altri cercano di fare buon viso a cattivo gioco. Qualcuno, per dovere “di alleanza” offre una solidarietà di circostanza a Washington.

Le nazioni del sud-est asiatico non gradiscono

I Ministri dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico, hanno emesso un comunicato che esprime preoccupazione “per la tensione che potrebbe portare a eventuali errori di incomprensione sul campo”. Inoltre, si raccomanda moderazione e il rispetto delle posizioni dell’Onu. Cioè, detto per inciso, l’osservanza del principio “una sola Cina”, rivendicato da Pechino. E accettato, paradossalmente, anche dagli Stati Uniti, che infatti non riconoscono ufficialmente Taiwan e hanno la loro ambasciata solo a Pechino.

Le sfere di influenza, ora sì ora no

Gli interessi di Washington per l’isola sono, però, geopolitici, economici e militari. Non discendono dal diritto internazionale, ma dal principio delle “sfere di influenza”. Un modello di “realpolitik” che, con grande evidenza, l’Occidente applica in maniera “asimmetrica”. Il richiamo al diritto internazionale, infatti, deve giustamente valere per l’Ucraina, ma anche per tutte le altre aree del pianeta. Per questo i cinesi hanno reagito malamente al raffazzonato documento del G7, che fa finta di ignorare i veri motivi della crisi generatasi nello Stretto di Taiwan. E che soprattutto evidenzia, ancora una volta, la quasi nulla capacità degli alleati di concorrere all’elaborazione di strategie condivise, in tutti quegli organismi sovranazionali a cui partecipano con gli Stati Uniti.

Vietnam e Malesia

Il Vietnam, nonostante i problemi di confine col potente vicino, ha fatto sapere di sostenere in pieno il concetto di “una Cina unica”, ribadendo che Hong Kong, Macao e Taiwan “appartengono alla Cina”. Momenti per certi versi grotteschi ha avuto l’incontro di Nancy Pelosi col premier della Malesia, Ismail Sahbri Yaakob.

Amici canaglia

Come riporta il South China Morning Post di Hong Kong, la signora, venuta a parlare di democrazia a Kuala Lumpur, non sapeva che la Malesia è considerata dagli Stati Uniti una nazione-canaglia per il traffico degli schiavi. Ed è inserita in una speciale classifica di “indesiderabili”. Pare sia stata chiesta alla signora una raccomandazione per risolvere il problema. Comunque, in Malesia, visti i problemi che hanno con la tratta degli esseri umani, Nancy Pelosi la democrazia l’ha messa da parte e di Taiwan non ha parlato.

Segretario di Stato Usa rincorre l’India

Conversazione che, invece, il Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha organizzato di gran corsa col suo omologo indiano S. Jaishankar, a Phnom Penh, capitale della Cambogia, dove si sta svolgendo il vertice dell’Asean. Il resoconto della stampa di New Delhi è molto scarno. Blinken si è premurato di confrontarsi con l’altro gigante asiatico, che negli ultimi anni si è sempre più affrancato dall’Occidente. Per quello che si legge su The Indian Express, i due non avrebbero menzionato la crisi di Taiwan. Cosa impossibile. E in diplomazia, quando in un comunicato si eludono i temi discussi, significa che ci sono divergenze.

Corea del Sud fredda

Bisogna vedere anche, come interpretare l’atteggiamento del Presidente della Corea del Sud Yoon Suk-Yeol, che non riceverà Nancy Pelosi. È una scelta fatta secondo un cerimoniale oltremodo studiato per non irritare la Cina? Pare di sì: si è inventato una vacanza, giusto in concomitanza con la visita. In sostanza, tutti avrebbero fatto volentieri a meno di questa crisi gravissima, “prefabbricata” per motivi ancora da chiarire, dentro il Congresso Usa.

Problema interno americano

Anzi, nelle viscere dello stesso Partito Democratico del Presidente Biden, che fino all’ultimo ha cercato di evitare l’azzardo della Pelosi, senza riuscirci. Tutta la diplomazia mondiale, dai Ministri degli Esteri delle principali potenze, agli ambasciatori, ai funzionari di rango più elevato, sanno benissimo come sono andati i fatti. Ognuno di loro conosceva il rischio geopolitico elevatissimo di una “missione” fine a se stessa. Senza né capo né coda, fatta solo per “mostrare la bandiera” e ricordare a tutti che gli Stati Uniti sanno combattere anche le guerre.

Una missione che, a torto o a ragione, però, è stata considerata dalla controparte cinese “una sanguinosa provocazione”. E che finora è servita a dimostrare solo che, quando vogliono, gli americani le guerre le sanno anche organizzare.

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AVEVAMO DETTO

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