
I cinesi sono su tutte le furie, per quella che considerano una provocazione, magari pensata solo a scopi di politica interna americana, visto come, per ora, i sondaggi penalizzano l’Amministrazione Democratica. Il possibile viaggio a Taiwan di Nancy Pelosi, “speaker” del Congresso e terza carica più importante degli Stati Uniti, ha messo in moto un’escalation politico-militare che ha colto impreparata la Casa Bianca. Ma non ci voleva molto a prevedere ciò che poi è puntualmente accaduto.
È dal 1997, cioè dai tempi del repubblicano Newt Gingrich, che un alto esponente del governo americano non si reca nell’isola, considerata dalla Cina “provincia separata”. Un quarto di secolo, insomma, in cui nessuno, a Washington, ha voluto gettare benzina sul fuoco. Per quale motivo, infatti, alimentare tensioni in un’area di crisi che vive già di equilibri precari? Una domanda che si pongono molti analisti di geopolitica, che vedono la scarsa flessibilità, anzi, spesso l’estrema rigidità, con cui l’America attuale porta avanti le sue relazioni internazionali.
Abbiamo già scritto, nei giorni scorsi, del pericoloso imbroglio diplomatico sorto dopo le intenzioni manifestate dalla Pelosi. La quale ha “condito” i suoi annunci con proclami indirettamente bellicosi, nei confronti della Cina, che rispolverano i vecchi argomenti, triti e ritriti, riguardanti democrazia, libertà civili, modelli economici e una “new entry” strategica: lo sviluppo dell’Indo-Pacifico. Attenzione, sono tutti temi di grande serietà, che devono essere affrontati, ma con un approccio cooperativo. Se ci si mette in rotta di collisione, i risultati che si ottengono possono diventare un boomerang. In questa fase di grande instabilità, aprire un ulteriore fronte di contrapposizione tra le grandi potenze o, peggio, esacerbarlo, può provocare reazioni uguali e contrarie. In cui tutti hanno da perdere.
Pechino alle proteste dei giorni scorsi sta facendo seguire, indirettamente, i fatti. La notizia di oggi, riportata con grande evidenza dal Global Times (versione internazionale del Quotidiano del popolo), riguarda la diffusione di alcuni filmati, che ritraggono i test del nuovo micidiale missile ipersonico DF-17, che il giornale definisce “air-carrier killer”, cioè “affondatore di portaerei”. E non bisogna essere specialisti di Marine militari, per capire quali portaerei i cinesi farebbero colare a picco. Una minaccia? Non vorremmo esagerare, ma da come presenta le cose il Global Times (oggi è la festa delle Forze armate di Pechino) sembra più una promessa, se le cose si dovessero mettere in un certo modo.
Il missile, è scritto nell’articolo, è praticamente “inintercettabile”, perché ha dei sistemi di navigazione sofisticati che gli consentono di cambiare traiettoria e inoltre vola alla straordinaria velocità di oltre Mach 5. In sostanza, si fa capire, una volta che il missile è lanciato la portaerei è spacciata. Il problema per il nemico (gli americani) è che il vettore può essere trainato da un grosso Tir. E lanciato anche da luoghi remoti, come un deserto. Per questo, spostandolo continuamente, è difficilissimo da identificare anche con la scansione satellitare. Il DF-17, sostengono gli esperti militari intervistati dal Global Times, “ha un raggio d’azione capace di raggiungere un arco di territorio che va da Taiwan fino all’Asia nord-orientale”.
E tanto per far recepire il messaggio a chi lo deve capire e metabolizzare, così prosegue il giornale del Partito comunista cinese: “Con all’orizzonte la possibile visita di Nancy Pelosi nell’isola di Taiwan, la tensione nello Stretto è aumentata. Le Forze armate cinesi, nel mostrare le loro capacità, stanno dicendo agli Stati Uniti che se insistono nella loro provocazione, verrà presa qualsiasi tipo di contromisura. Perché Taiwan è una parte inalienabile della Cina e per questo l’Esercito popolare è pronto a combattere e a vincere”. E a questo punto si capisce perché a Pechino ancora tuonano: “Non dite che non vi avevamo avvertiti”. Il viaggio programmato da Nancy Pelosi sta portando Washington e Pechino allo scontro frontale.
Una rotta di collisione che, come si vede, potrebbe avere esiti tragicamente imprevedibili, come ha (inusitatamente) minacciato lo stesso leader Xi Jinping. “Chi scherza col fuoco rischia di bruciarsi”, ha sbottato in faccia a Biden, durante il video-summit organizzato di gran corsa per cercare di allentare la tensione.
I cinesi sono stati chiari: se nello spazio aereo di Taipei dovessero entrare caccia di scorta americani, saranno abbattuti. E il velivolo della Pelosi verrà costretto a tornare indietro. Nel migliore dei casi.
Tutto questo pericoloso polverone è il segno evidente che la Casa Bianca aveva sottovalutato la questione. O, più probabilmente, che era stata “male informata”. Ora, l’ufficio stampa della Pelosi ha comunicato il programma del suo tour in Asia, senza però citare Taiwan. D’altro canto, Biden aveva detto che il Pentagono “aveva sconsigliato il viaggio”. Evidentemente, sempre più spesso, i militari si dimostrano più saggi e meno guerrafondai dei politici. Forse perché vivono di cose concrete e non debbono lisciare il pelo alla gente, per elemosinare quei consensi che gli servono per restare attaccati alle poltrone.