Farne a meno è una possibilità. Soprattutto in una situazione in cui continuano a esistere meravigliose e attive librerie che non si fanno occupare militarmente dai “consigli degli acquisti” che somigliano sempre di più a un accanimento terapeutico, ma vivono di senso critico e pensiero indipendente, proponendo e sostenendo la piccola e media editoria, autori splendidi e non sempre sotto i riflettori mediatici. Pensando che esista un mondo oltre quei dieci volumi che occupano la maggior parte delle vetrine: un mondo dove è possibile trovare gioielli editoriali, perle raffinate, storie che commuovono, esaltano, fanno pensare, creano spirito critico.
Non si tratta di essere resistenti, ma di essere attivisti. Resistere alla furia ottusa culturalmente del tempo va bene, ma va meglio spostare l’attenzione, mettere insieme teste, libertà, spazi e tempo per costruire un’alternativa possibile. Piccola? Non importa il valore del mercato, il successo, la catasta dei libri in esposizione, il rito del firma copie seriale; quello che conta è il rapporto fertile tra il libro e la comunità dei lettori, la possibilità che una persona possa trovare tra le pagine di una storia uno spunto per uno studio, per un viaggio, per emozionarsi e sorridere, per raccontarlo a un’altra persona.
Per questo, anche per questo, è importante continuare a cercare nuove idee, modalità non banali per stare insieme convivialmente, per diffondere libri, cultura del territorio, sapienza e cura. Non servono format visti e rivisti, adatti per un salone del libro e non per una comunità vera che vive in un piccolo paese; non servono presentazioni mordi e fuggi frontali. Occorre fare di più, rendere fertile il terreno della conoscenza, mettere in connessione mondi diversi: chi legge tanto, tantissimo, e chi legge un libro al mese o chi sta scoprendo il gusto della lettura e della conversazione libera e democratica.
Ognuno ha la sua sensibilità. Nessuno deve sentirsi escluso.
Questo testo l’ho scritto anche come libraio, come essere umano che ama i libri. L’ho scritto perché siamo felici che il nostro piccolo Comune, San Quirico d’Orcia, sia candidato a capitale del libro, per promuovere la piccola e media editoria, per sostenere la cultura come bene comune. Oggi il paese rappresenta la Toscana e domani chissà. Perché sono le piccole grandi utopie che cambiano il mondo, che ci aiutano a fare del pensiero un’azione.
Ognuno ha il suo ruolo nella rivoluzione. Partecipando, proponendo, mettendo il cuore e la passione in un’idea di bellezza. Non temere il proprio tempo, oscuro, è una questione di spazio. Riprendersi lo spazio pubblico, indipendente, comunitario, non mediatico, è il primo passo per tornare a costruire un futuro democratico e giusto per tutti.