Jacques Necker, il banchiere che tentò di salvare la Francia da se stessa

Chi vorrà vedere anche in questo ‘Cera una volta’ un qualche malizioso rifermento all’attualità, ‘facendo peccato’, come ammoniva il cattolicissimo peccatore Andreotti, forse c’azzecca. Ma gli eventuali parallelismi (non troppi speriamo), trovateli voi. Il banchiere chiamato a salvare la Francia in debito profondo prova a imporre rigore e riforme inimicandosi i politici di corte che alla fine impongono la sua cacciata. Era l’11 luglio 1789. La notizia della sua destituzione fa esplodere a Parigi l’insurrezione con l’assalto alla Bastiglia. Poi fu  Rivoluzione francese. Senza esaltare troppo il banchiere, spunto di riflessione sulla politica di corte.

Versione un po’ forzata della storia, ma comunque indicativa

La prima esperienza

Nel 1776, a quarantaquattro anni, il banchiere svizzero Jacques Necker è nominato dal re di Francia Luigi XVI direttore generale del tesoro reale. Necker ha alle spalle una brillante esperienza come banchiere e potrebbe aspirare all’incarico di ministro, ma è pur sempre un cittadino svizzero, uno straniero insomma, e per di più è di religione protestante. L’ammissione al consiglio della corona gli è per questo preclusa, ma le prime riforme organizzative che attua sono coraggiose e soprattutto efficaci: in pratica elimina numerosi posti nell’amministrazione delle finanze e modifica il sistema dei compensi degli alti funzionari. In precedenza infatti, il sistema degli esattori, prevedeva una remunerazione in percentuale sulle tasse e le imposte incassate, ma Necker la trasforma in un cifra fissa. Questa ed altre riforme non gli assicurano grande popolarità tra le alte cariche del regno, ma alla conclusione del suo mandato pubblica un «Resoconto al re» («Compte rendu au roi» in originale) che, oltre a dare per la prima volta trasparenza all’amministrazione fiscale, accende anche un vivace dibattito sulle finanze dello stato l’andamento economico generale.

Un primo esilio e il ritorno

Necker si trova a coordinare una situazione molto complessa costituita dall’enorme debito accumulato a causa della guerra a sostegno dell’indipendenza delle colonie americane. Indubbiamente un successo politico per la Francia, ma anche un salasso finanziario spaventoso: escludendo quindi di aumentare le tasse, la scelta non può che essere quella della riduzione della spesa corrente. Necker fa presente che le spese per la ‘casa del re’ (la sontuosa corte di Versailles e la sua organizzazione) sono fuori controllo; che è necessario rivedere il sistema di concessione dei vitalizi – soprattutto a membri della nobiltà – per evitare cumuli e abusi e che si deve controllare con maggiore attenzione il pagamento delle tasse da parte di tutti. La proposta da sola porterebbe al recupero di una cifra pari, se non superiore, a quella che si ricaverebbe con nuove tasse. Il 19 maggio 1781, deluso dal diniego del re e dagli ostacoli frapposti anche dai parlamenti regionali, Necker si dimette e rientra temporaneamente in Svizzera, dove pubblica un secondo libro sull’amministrazione delle finanze che riscuote nuovamente successo.

Il secondo periodo

Nonostante le accuse di aver manipolato le cifre riportate nel «Resoconto al re» del 1781, Luigi XVI lo richiama al ministero nel 1788. Questa volta, trascurando l’appartenenza alla religione protestante, lo status ministeriale gli consente di partecipare ai consigli e, di fronte a una crisi finanziaria che si è aggravata e costringe a imporre nuove tasse, Necker si fa sostenitore della necessità di convocare gli Stati generali per discutere le condizioni del paese e ottenere l’approvazione dell’assemblea. In precedenza, sebbene le recenti teorie del economiche del periodo sostenessero di non limitare il commercio dei grani, Necker, per fronteggiare una grave carestia, ne aveva  vietato l’esportazione. Ai primi di luglio del 1789, per un ennesimo scontro con Luigi XVI che non aveva dimenticato le passate critiche alla dispendiosa vita di corte e lo accusava di eccessiva condiscendenza con le assemblee, Necker si dimise per la seconda volta e tornò in Svizzera dove giunse il giorno 14 luglio. Nello stesso giorno, anche per protestare contro questo allontanamento di un personaggio che godeva di relativa popolarità e fiducia, la folla di Parigi si sollevò espugnando la fortezza della Bastiglia.

Gli Stati generali

Nel tentativo di placare gli animi dei parigini e riprendere il controllo degli Stati generali, Luigi XVI riconvocò a Parigi il ministro il 29 luglio, ma era troppo tardi. Necker, che fu sempre un moderato e un ammiratore del parlamentarismo inglese, si ritrovò di fronte ai suoi vecchi nemici: il partito di corte e le frange estreme che ritenevano che la cura delle finanze pubbliche fosse meno importante dei diritti politici, primi fra tutti il voto e la libertà di espressione. Alla fine del 1790, dopo essersi espresso contro l’eccessiva circolazione di carta moneta (che produceva inflazione) e la confisca indiscriminata dei beni religiosi, tornò definitivamente in Svizzera per non fare più ritorno in Francia. La sua ultima e cocente delusione su quanto stava accadendo fu interpretata allora come diserzione: Robespierre, che pure in passato lo aveva elogiato per la sua competenza e la grande chiarezza nell’esporre anche problemi complessi, lo definì «il ministro impudente». Nella serena Svizzera, aiutato dalla figlia Germaine, trovò il tempo per scrivere la sua versione delle vicende francesi che resta forse il suo libro più interessante.

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