
«Per portare gli Stati Uniti a essere quell’esempio di democrazia a cui Biden aspira, però, c’è evidentemente bisogno di molto più dell’organizzazione di un convegno internazionale», rilavano in una loro attenta analisi dello scorso anno Mario Del Pero e Gaetano Di Tommaso per ISPI. Primo problema «più democratica anche all’interno degli stessi Stati Uniti». Ma la crescente polarizzazione e irrazionalità del suo sistema politico, (tentato golpe di Trump e sentenze della Corte), racconta al mondo l’esatto contrario. Le aspirazioni globali di Washington e le necessità di ristrutturare società e politica statunitensi, ora rischiano di logorare irreversibilmente la presidenza. Un anno fa, preveggenza prudente ma centrata.
«Uno dei più ambiziosi progetti della presidenza Biden, il Summit per la democrazia, è già morto. Riproporre la reaganiana lotta del Bene, rappresentato dagli Stati Uniti-, contro il Male ieri identificato nell’Unione Sovietica e oggi dal revisionismo delle autocrazie -Russia in testa- è deceduto in Ucraina», la categorica riflessione di Emanuel Pietrobon
Che non si trattasse di un’iniziativa guidata da superiori propositi etico-morali, lo si era capito al momento della pubblicazione della lista degli invitati e degli esclusi al Summit: Ungheria no, Serbia sì, Russia no, Ucraina sì, Arabia Saudita no, Pakistan sì. Ungheria esclusa perché centrale del sovranismo europeo, Serbia inserita perché da allontanare da Russia e Cina. L’Ucraina dentro soltanto per per cementarne lo status di nuovo membro dell’Occidente. Il Pakistan chiamato perché da ravvicinare nell’ottica della ritirata dall’Afghanistan e del contenimento della Cina, l’Arabia Saudita estromessa a causa dell’assassinio Khashoggi, ma ora, visita petrolifera e anti Iran di Biden, redenta.
Il progredire della guerra in Ucraina ha imposto all’Occidente un bagno freddo di realpolitik. «I numeri, illustrati dal Democracy Index del 2021, indicano che le democrazie non costituiscono che un’esigua minoranza nel mondo – 21 su 167 stati considerati – e, per di più, quelle imperfette sono il doppio di quelle pure – 53».
Paradossalmente, sempre secondo il Democracy Index, gli Stati Uniti, organizzatori del Summit per la Democrazia, hanno cessato di essere una democrazia compiuta per entrare a far parte delle democrazie imperfette.
Il resto del mondo risulta popolato da regimi ibridi – 34 – , e autoritari –59-. Numeri al ribasso, dato che nel il Democracy Index non sono stati calcolati gli indici di democraticità di realtà grigie come Sahara occidentale, Somalia, Sud Sudan e simili. 21 stati contro 93. O 74 contro 93. O 21 contro 146. «A seconda di come si preferisca considerare le democrazie imperfette, delle quali fanno parte anche gli Stati Uniti, e cioè se alleate delle democrazie pure o meno».
In Ucraina, teatro di una guerra senza limiti che ha investito l’intero sistema internazionale, l’Occidente ha scoperto di essere una minoranza (molto) meno capace rispetto al passato di influire sulla maggioranza. Come le difficoltà riscontrate nell’allargamento della guerra economica totale alla Russia, che l’asse euroamericano avrebbe voluto allargare a Brasile, India e altri, incassando rifiuti netti e pesanti per numeri di popolazione e di risorse.
Le democrazie, per rispondere alle conseguenze della guerra in Ucraina – caroenergia, crisi alimentare, inflazione –, hanno dovuto rivolgersi proprio ai regimi ibridi e autoritari, alcuni dei quali ripudiati (e combattuti) in passato.
Mario Draghi, dopo aver definito il turco Erdogan un dittatore e si è recato in Turchia per trattare sull’oleodotto TAP, su Libia e Mediterraneo. Svezia e Finlandia, i modelli di riferimento di ogni liberal-democrazia, sono scese a patti con la Turchia, – vendita dei curdi e fine dell’embargo alla vendita di armi all’esercito turco – in cambio dello scioglimento del veto al loro ingresso nella NATO.
«La battaglia tra democrazie e autocrazie parte del più ampio disegno con cui gli Stati Uniti porteranno avanti la loro lotta a Russia e Cina, cercando di trascinare l’Alleato europeo al loro seguito», la lettura dei fatti più severa. Il disaccoppiamento di Unione Europea e Russia e l’altra guerra fredda, quella sino-americana. Scontri sempre dispari tra idealità e interessi.
«La guerra alle autocrazie è naufragata perché poggiante su un doppiopesismo insostenibile, che eleva alcuni conflitti e ne ignora altri, e ingiustificabile, perché distinguente implicitamente tra morti di serie A e di serie B», insiste Emanuel Pietrobon su InsideOver . «Doppiopesismo che porta acqua al mulino dei detrattori dell’Occidente».
La democrazia statunitense non ha dato grande prova di sé in questi decenni, denuncia Mario Del Pero: «forte limitazione del diritto di voto; livelli macroscopici di diseguaglianza e di insicurezza; persistenza di forme di razzismo». E non l’ha data su quello internazionale, «con la notte della ragione che ha seguito gli attentati dell’11 settembre, la tortura, la rendition, Guantanamo, i doppi standard in materia di diritti umani». Un’integrazione capitalistica che spesso ha indebolito ben più delle sfide autoritarie tante delle premesse degli ordini democratici nazionali
Il mondo ‘formato Cappuccetto rosso. La guerra alle autocrazie è naufragata su quello che papa Francesco ha definito ‘Cappuccetto rosso”, un ritratto ingannevole dipinto a colori forti, sebbene sia un’enorme sfumatura di grigio.