Europa, Unione ad elastico dalla pandemia all’Ucraina. Confusione (anche Nato) tra l’allargarsi e il crescere

Massimo Nava di fronte alla ‘retorica dell’Unione forte e la coesione perduta’, come titola il Corriere della sera. Con una certa malinconia. L’Unione che di fronte alla pandemia si divise a colpi di vaccino con frontiere tornate trincee anti virus, e poi l’invasione russa dove l’ipocrisia cerca ancora di nascondere differenze politiche e di interessi sempre più marcate.
A vaccino vincente contro Coronavirus e No-Vax molti avevano creduto in «una nuova consapevolezza della propria forza e dei propri valori».
L’invasione dell’Ucraina ha riportato indietro l’orologio Ue?

Dopo il Muro, l’Europa dall’Atlantico agli Urali

All’indomani della caduta del Muro di Berlino, l’Europa visse una stagione euforica: moneta unica, allargamento dell’Unione a Paesi dell’ex Patto di Varsavia, consolidamento di un modello economico e sociale che prometteva sicurezza e prosperità come nessun altro al mondo. L’euforia per la fine della guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica alimentarono anche il sogno di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, secondo la visione di de Gaulle, e di processi democratici e partnership per la pace che comprendessero la Russia.

Euforie e illusioni

L’euforia può essere contagiosa, ma a volte effimera. Vennero il conflitto nella ex Jugoslavia, l’11 settembre, l’offensiva terroristica, la bocciatura del Trattato costituzionale sull’onda crescente dei populismi, la crisi finanziaria del 2008, la crisi greca, la Brexit, la pandemia.
Le guerre nei Balcani evidenziarono l’impotenza dell’Europa, riaprirono ferite etniche e religiose che sembravano sanate dopo due guerre mondiali, imposero la riflessione sul ruolo e sull’allargamento della Nato nella regione e ai Paesi dell’Est, imposero l’intervento sussidiario degli Usa, che di fatto misero fine al conflitto combinando diplomazia e intervento armato.

Burocrazia a supplire la politica

L’Europa a ventisette si rivelò una magnifica architettura ideale, cui venivano però a mancare le colonne portanti della fiscalità e della difesa comuni, mentre la governance politica era condizionata da veti incrociati ed eccessiva burocrazia. L’Europa si scoprì debole e impreparata di fronte alle drammatiche emergenze del nuovo secolo. Soltanto la volontà e la determinazione di alcuni leader – Mario Draghi, Emmanuel Macron e Angela Merkel – riuscirono ad arginare i rischi di implosione, alimentati anche da spinte centrifughe (la Brexit) e da posizioni critiche di alcuni Paesi dell’Est su temi fondamentali, quali la giustizia, l’immigrazione, il rapporto con gli Stati Uniti.

Illusione post pandemia

Di fronte alla pandemia, l’Europa ha ritrovato la coesione e una nuova consapevolezza della propria forza, dei propri valori, della propria «diversità» in un mondo globalizzato. La spinta è venuta da Parigi, Berlino, Roma e dalla Bce. Ma l’euforia è durata lo spazio di un mattino. L’invasione russa dell’Ucraina sembra avere riportato indietro l’orologio della Storia.

I legami culturale con la Russia

La guerra ha reciso, almeno per una generazione, i legami culturali ed economici con la Russia. La Nato si è allargata ai Paesi baltici e scandinavi. Nonostante la giusta condanna dei massacri e della politica aggressiva del Cremlino, cade nel vuoto il monito di Henry Kissinger se sia nell’interesse dell’Europa ridurre la Russia a Paese paria, tanto più che le democrazie occidentali restano minoritarie nel pianeta, sia come sistema politico, sia come peso specifico di abitanti.

Tra retorica e bugie una crisi devastante

Oggi la retorica dell’Europa forte e compatta, che apre le porte a nuovi membri e all’Ucraina e sostiene con armi e aiuti finanziari la resistenza di Kiev deve misurarsi con le conseguenze devastanti del conflitto: crisi economica ed energetica, divisioni politiche crescenti all’interno dei singoli Paesi, costo economico della ricostruzione di cui l’Europa dovrà in parte farsi carico, ricaduta sociale di nuovi flussi migratori, dipendenza energetica da Paesi poco affidabili sul piano dei diritti. Non ultimo, la messa fra parentesi delle politiche di transizione ecologica che comporta, fra l’altro, la riapertura di centrali a carbone.

Fino a che punto saranno sopportabili caro bollette, lampioni spenti, termosifoni più bassi e calo delle esportazioni in nome della guerra economica alla Russia?

L’autunno che ci attende

Le avvisaglie dell’autunno che ci attende già si riverberano sui governi, tanto più che si profila un’emergenza energetica combinata a un’emergenza sanitaria. Nei giorni in cui i leader dei tre maggiori partiti europei andavano a Kiev, maturava in Francia la clamorosa sconfitta di Emmanuel Macron alle legislative, ad opera di movimenti di estrema destra e di estrema sinistra i cui leader (Marine Le Pen e Jean Luc Mélenchon) sono critici verso la Nato strizzano l’occhio a Putin.

Follie di casa

In Italia sono all’ordine del giorno le fibrillazioni nella maggioranza, per la posizione dei Cinque Stelle sul conflitto. Le dimissioni di Mario Draghi erano nell’aria da tempo e fanno mancare un riferimento fondamentale della posizione europea nel conflitto. In Germania, il cancelliere Scholz cala nei sondaggi. In Gran Bretagna è caduto Boris Johnson.

Grottesco gioco dell’oca

Intanto la guerra ricorda sempre più un grottesco gioco dell’oca che ne dimostra la sua insensatezza: fra Kiev che non può perdere e Mosca che non può vincere, si delinea come soluzione praticabile il ritorno alla situazione precedente l’invasione, con Donbass e Crimea occupati e non riconosciuti, contesi e non riconquistati, destinati a rimanere nell’incerto limbo in cui finisce il dilemma fra diritti dei popoli e sovranità degli Stati.

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