
Joe Biden sta giocando una partita strategica rischiosa. E complicata. L’attenzione di Washington è principalmente rivolta al Golfo Persico e allo scontro tutto interno all’Islam, tra sunniti e sciiti. Cioè, tra i sauditi e l’Iran degli ayatollah. Dunque, dove vuole arrivare il Presidente Usa col suo viaggio tra Israele e Arabia? A leggere l’analisi di Haaretz, uno dei quotidiani più autorevoli dello Stato ebraico, la definisce “Mission impossible”. Massacrato dall’inflazione, in caduta libera nei sondaggi, ferocemente attaccato anche dalla stampa “liberal” Usa, l’ex vice di Obama cerca, disperatamente, un colpo di coda.
Ebbene, nell’ordine, deve: non indispettire Israele, specie adesso che è in crisi politica e che potrebbe riapparire all’orizzonte Netanyahu; “far pace” col saudita bin Salman, di cui gli interessa più il petrolio che l’amore per la democrazia; “convincere” gli iraniani a firmare il Trattato per il controllo del nucleare (a Vienna), offrendo in cambio contropartite, giudicate però “troppo generose” a Gerusalemme e a Riad. Questo gli consentirebbe, anche, di contribuire allo spegnimento del braciere yemenita. Dove impazza, ormai da anni, una selvaggia guerra civile, tra sunniti e sciiti.
Certo, si tratta di strategie molto difficili da elaborare congiuntamente, eppure, secondo Haaretz, Biden va preso sul serio per quello che rappresenta. “Potrebbe essere facile – sostiene Aluf Benn, analista di Haaretz – liquidare il viaggio del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, come la visita non importante di un leader debole e impopolare, le cui possibilità di essere rieletto sono vicine allo zero. Ma anche con l’opinione dei cittadini a un punto tanto basso, l’uomo alla Casa Bianca controlla la politica estera e di difesa della superpotenza più forte del mondo e gode di ampia libertà nella gestione dei legami con gli amici e i nemici dell’America”.
E alla Casa Bianca, per ora, il Medio Oriente che “conta” non è più la Palestina, ma il Golfo Persico. Con l’Iran diventato una spina nel fianco di Washington. Ma anche un “catalizzatore” geopolitico, perché la sua minacciosa egemonia regionale e le sue aspirazioni nucleari spingono a comporre alleanze “ibride”. Come quella tra Arabia Saudita e Israele.
Ecco perché il Wall Street Journal parla del viaggio di Biden, ma titola sugli avvertimenti che il Presidente lancia agli ayatollah: “Sbrigatevi a firmare l’accordo sul nucleare, perché non aspetterò in eterno”. Un bluff? Forse. Ma il problema non sono le minacce militari americane, ma piuttosto quello che offre sottobanco la Casa Bianca a Teheran. Come scrive Haaretz, il lato paradossale di questa storia è che parte del “successo” politico della missione di Biden, in Medio Oriente, è nelle mani di Ali Khamenei. Se la Guida suprema iraniana dovesse decidere di firmare il Trattato sul nucleare o accettare di raffreddare i rapporti con la Russia, la Geopolitica del Golfo Persico verrebbe rivoltata. Ma non accadrà.
Ieri il Teheran Times ha aperto il giornale con un articolo che non ammetteva repliche. Smontate le critiche della nuova Ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, snobbate quelle degli americani, il Presidente Raisi ha ribadito che l’Iran firmerà l’accordo sul nucleare “se e quando lo riterrà opportuno”. Nel frattempo, la prossima settimana, a sorpresa, in Iran sbarcherà Vladimir Putin. Tanto per far capire come funziona la catena degli schieramenti, da quelle parti. Sarà una buona occasione per parlare della spond, che gli ayatollah stanno offrendo ai russi, per aggirare le sanzioni. Sul tavolo anche la possibile fornitura di droni, di fabbricazione iraniana, alle truppe di Mosca.
Oggi Biden sarà a cena, in Arabia Saudita, con re Salman e col Principe Mohammed (quello che lui chiamava il “paria”). Si parlerà, di sicuro, di Iran, armi, petrolio e dollari. Di diritti umani no. Quelli, la sera, vengono pesanti da digerire.