
La notizia è senza dubbio sorprendente. Il Kazakistan, un tempo la più fedele e la più allineata delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, ha aperto un serio contenzioso con Mosca. Il motivo ha che fare, ancora una volta, con il problema delle forniture energetiche.
Un tribunale russo ha ordinato la sospensione temporanea (30 giorni) dell’attività del “Caspian Pipeline Consortium” (CPC), vale a dire l’oleodotto che trasporta il petrolio estratto nella parte occidentale del territorio kazako fino al porto russo di Novorossiysk, situato sul Mar Nero.
La questione non riguarda soltanto russi e kazaki. Questo petrolio, infatti, viene esportato nell’Unione Europea, e le autorità kazake avevano garantito al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il loro supporto per stabilizzare il mercato energetico.
Evidentemente a Vladimir Putin tale promessa non è piaciuta, e infatti il flusso dell’oro nero è stato interrotto. Sia pure, per ora, solo in modo temporaneo.
Il fatto è che il nuovo presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, che lo stesso Putin aveva aiutato a insediare, inviando truppe per sedare la rivolta popolare che portò alla defenestrazione del “presidente eterno”, Nursultan Nazarbayev, sta cercando di ritagliarsi spazi di autonomia.
Durante il recente vertice economico di San Pietroburgo, infatti, Tokayev ha rifiutato di riconoscere le due repubbliche ucraine separatiste filo-russe di Donetsk e Luhansk, ora in gran parte occupate dalle truppe russe. E, come se non bastasse, ha criticato apertamente l’invasione dell’Ucraina (che Putin, com’è noto, definisce “operazione militare speciale”).
Quindi il cambio di governo in Kazakistan non appare poi così favorevole a Mosca. Chiaramente il vecchio Nazarbayev, sempre fedele agli ordini del Cremlino, non si sarebbe mai permesso di compiere una mossa tanto dirompente.
I kazaki vorrebbero ora bypassare la Federazione Russa cercando modi alternativi di esportare il loro petrolio. Ma basta guardare la carta geografica per capire che tali alternative sono assai difficili da trovare.
Dal canto suo Putin cerca in ogni modo di rallentare le forniture energetiche ai Paesi che considera ostili, in primo luogo quelli della UE. Dal Kazakistan proviene circa il 6% del suo fabbisogno annuale. Quantità non certo alta ma, comunque, importante in questo periodo di vacche magre.
Fondamentale, invece, per la Repubblica dell’Asia centrale, che verso l’Europa esporta circa il 70% del petrolio che estrae. La decisione russa, dunque, danneggia tanto la UE quanto la ex Repubblica sovietica un tempo considerata emblema di fedeltà al Cremlino.
Per il Kazakistan si parla di una perdita prossima ai 500 milioni di dollari, mentre gli europei devono aggiungere un altro buco energetico ai tanti che già esistono. Può darsi, come prima si diceva, che la sospensione sia solo temporanea.
Tuttavia Putin dimostra di saper manovrare bene le leve del ricatto energetico, e forse sta cercando in Kazakistan personaggi meno indipendenti di Tokayev, e più disposti ad assecondare la sua politica.