
«Ci sono due date, in quest’anno tragico per l’Ucraina, che dovremo ricordare. La prima è il 13 gennaio. Quel giorno, venti jet privati di superlusso presero il volo dall’aeroporto di Kiev. Erano gli oligarchi che, al primo rullo dei tamburi di guerra, migravano con familiari e sodali verso lidi più accoglienti».
«La seconda data da ricordare è il 23 febbraio. Perché quella ch’era sembrata una fuga, quasi una diserzione di massa dei ricchi e potenti, mostra un altro volto. Senza clamore, alla spicciolata, gli oligarchi sono tornati. Hanno deciso loro? Sono stati richiamati?». Mancano poche ore all’invasione russa, l’aeroporto di Kiev verrà chiuso alle due di quella notte. Eppure, nel palazzo presidenziale Zelens’kyj incontra gli oligarchi. Ci sono quasi tutti, in ogni caso tutti i pesi massimi. Ci sono Akhmetov, Porošenko, Kolomojs’kyj, Tymošenko, Pinčuk – marito della figlia di Leonid Kučma, il secondo presidente dell’Ucraina indipendente. Quella notte comincia l’ennesimo atto del complicatissimo rapporto tra il «servo del popolo» Zelens’kyj e quei servi del proprio interesse che chiamiamo oligarchi.
«Forse non sapremo mai che cosa si siano detti il presidente e i super-ricchi. Sappiamo per certo che nelle ore concitate, le ore che hanno cambiato la Russia, l’Ucraina e l’Europa, tutto cambia anche nella relazione tra il presidente e la categoria più detestata, quella cui lui aveva promesso di tagliare le unghie».
Sino alla vigilia dell’invasione russa, un’altra guerra, tutta interna all’Ucraina. Il cerchio magico di Zelens’kyj, il gruppo di quarantenni rampanti e grintosi che hanno accompagnato la sua ascesa e che gli fanno da pretoriani. Per l’apparato c’è Andrij Jermak, capo dell’amministrazione presidenziale, avvocato di grido e compagno delle avventure televisive di Zelens’kyj. Alla Giustizia pensa Iryna Venediktova, già consulente legale della campagna elettorale per le presidenziali, diventato procuratore generale. Per la sicurezza Ivan Bakanov, un tempo compagno di scuola di Zelens’kyj nella natia Kryvyi Rih, e infine direttore dell’Sbu, i potenti servizi segreti ucraini. Bakanov (laureato in economia) è stato anche uno degli organizzatori della rete di società offshore con cui Zelens’kyj, in passato, ha messo al riparo i guadagni della carriera nello spettacolo e che è stata rivelata dai Pandora Papers. Uno. L’altro era Serhij Šefir, l’uomo nell’ombra, nessuna carica altisonante a parte quella di «consigliere» ma la figura più vicina al presidente.
Il 22 settembre dell’anno scorso, non una vita fa, dieci colpi di mitra contro la sua auto di servizio, lui illeso, la sera prima del voto in parlamento sulla «legge anti-oligarchi» lungamente annunciata e fortemente voluta dal presidente per inaugurare una seconda e più riconoscibile tappa sulla strada delle riforme. Anche se la «legge anti-oligarchi» non era poi una gran minaccia per i potentati economici ucraini, «non era difficile capire che in quella sparatoria c’era un avvertimento».
Zelens’kyj controlla la macchina dello Stato e gli apparati della sicurezza, gode della fedeltà delle Forze armate, alle quali nel solo 2021 ha dedicato il 4,1% del pil nazionale. Gli altri, gli oligarchi, che quasi sempre siedono in parlamento o apertamente influenzano gruppi di parlamentari, hanno però le mani su leve decisive dell’economia nazionale e possono dirigere l’opinione pubblica. La realtà è che sbarazzarsi degli oligarchi è impossibile, governare contro di loro anche. quindi, la linea del compromesso, per non umiliare il potere politico o consegnarlo alla rete degli interessi privati?
La storia poco conosciuta di Viktor Janukovyč, il presidente filorusso eletto nel 2010 e scappato a Mosca nel 2014 sulla spinta popolare e anche la decisione degli oligarchi di sbarazzarsi della «famiglia», ovvero della congrega di profittatori che, all’ombra di Janukovyč, faceva loro concorrenza nella spartizione degli affari e delle risorse. Oligarchi che infatti troviamo tra i finanziatori del movimento di protesta che ha fatto nascere l’Ucraina attuale.
Nell’incontro del 23 febbraio tra Zelens’kyj e gli oligarchi, «forse il primo vero patto tra potere politico e potentati economici nella storia post-sovietica del paese». Alcune conclusioni dell’Ukrainian Institute for the Future sul tema ‘Oligarchi‘. Primo, la situazione ucraina assai diversa da quella della Russia, dove la gran parte degli oligarchi, senza le sanzioni occidentali, potrebbe continuare a prosperare anche se il quadro economico in patria fosse critico.
La seconda è che gli oligarchi ucraini si sono affermati a spese della ricchezza collettiva o si sono insediati in settori produttivi fondamentali, e – a differenza di quelli russi – controllano infrastrutture decisive per il funzionamento dello Stato, lo sviluppo della società e il benessere della nazione.
«Nessun oligarca russo ha un interesse dominante nel comparto del gas, monopolizzato dal colosso nazionale Gazprom, o in quello della produzione e distribuzione dell’energia elettrica», scrive Limes. In Ucraina, il solo Akhmetov è responsabile dell’8% della produzione di gas attraverso la sua Dtek, del 25% di energia elettrica e dell’86% di carbone termico per usi industriali. Nella distribuzione del gas ritroviamo Akhmetov, Dmytro Firtaš e Serhij Lyovočkin (gas). Energie rinnovabili: ancora Akhmetov, tramite Dtek Renewables, è padrone del 30% del mercato. Kolomojs’kyj possiede la più grandelinea aerea del paese. I porti sono campo di gioco per Akhmetov e Kolomojs’kyj, le ferrovie per Akhmetov (oltre che per Porošenko e Kononenko, che provvedono ai carburanti. Il traffico fluviale, importante per la movimentazione del grano e in generale dei prodotti agricoli, è appannaggio di due sole compagnie di navigazione: quella di Konstantin Grigorišin e quella di Oleh Vadaturs’kyj.
Quanto ai media, fino a poco tempo fa Pinčuk si prendeva il 23,8% del totale delle ore di televisione trasmesse, i soci Firtaš e Lyovočkin il 20,5%, Kolomojs’kyj il 18,67%, Akhmetov il 16,77% e così via, giù giù fino allo 0,4% di Porošenko. «Pare che non sia stata solo l’emergenza bellica a spingere Zelens’kyj ad accorpare in un unico canale statalizzato l’informazione televisiva, in linea peraltro con le azioni – sette emittenti chiuse in 18 mesi – condotte quando l’invasione russa sembrava solo una lontana ipotesi».
«Non solo gente enormemente ricca, di appalti truccati, di incredibili privilegi fiscali concessi ad aziende dai profitti record, di imprenditori lobbisti promotori di un’instancabile opera di corruzione delle buone pratiche di governo e di una serie infinita di distorsioni ai meccanismi del libero mercato. Abbiamo (anche) a che fare con una cerchia di personalità forti che di fatto, in maniera informale ma non per questo meno efficace, governano un pezzo importante del paese. Insomma: Zelens’kyj può certamente trascinare in tribunale questo o quello. Ma se gli oligarchi entrassero in sciopero si fermerebbe l’Ucraina», evverte e denbuncia Fulvio Scaglione.
È lecito quindi concludere che il 23 febbraio, quando i carri armati russi già scaldavano i motori, Zelens’kyj e gli oligarchi abbiano messo da parte i vecchi attriti per stringere un nuovo patto, per salvare l’uno i poteri e gli altri gli interessi dal potenziale disastro in arrivo. «Conoscendo i personaggi coinvolti, la domanda a questo punto è: quanto durerà? Di certo finché i russi non se ne saranno andati o non saranno stati vinti sul campo, insomma finché ci sarà la guerra. Ma poi?».
Qualcuno ha calcolato tra i 4 e i 5 miliardi di dollari per ogni ulteriore settimana di guerra. Un giorno, quando i cannoni avranno smesso di sparare, bisognerà riversare sull’Ucraina un sacco di quattrini. 92 miliardi di dollari di danni diretti alle infrastrutture e perdite economiche generali intorno ai 600 miliardi di dollari. Che difficilmente arriveranno dalla Russia, vincente o perdente che sarà. Saranno gli Usa e i paesi dell’Unione Europea a farsi carico dei costi di un grande piano di ricostruzione dell’Ucraina in c ui saranno coinvolti i poteri locali. Ma sarà ancora Zelens’kyj l’uomo forte a Kiev?
«Lo Zelens’kyj con la maglietta da soldato, che durante il conflitto ha scalato tutti gli indici di gradimento, una volta recuperata la grisaglia del politico tornerà a precipitare al 15-20% di consenso registrato all’inizio del 2022? Oppure il credito ottenuto varrà anche in tempo di pace?. Davvero gli oligarchi lasceranno a lui di smistare e dirigere il fiume di risorse e di occasioni che si riverserà sull’Ucraina? Non saranno i primi, questi oligarchi che nel momento del massimo bisogno si sono stretti intorno alla presidenza e al potere politico, a chiedere adeguate compensazioni?»
Per non parlare di un altro scenario. Quello in cui la Russia riesce davvero a prendersi l’Est del paese, spezzando la spina dorsale dell’economia ucraina. L’Ucraina ridotta a un «paese di 11 milioni di abitanti». Ed è davvero impossibile prevedere che cosa potrebbe succedere allora e che cosa deciderebbero di fare i potentati finanziari e mediatici che da decenni esercitano tanta influenza sui destini dell’Ucraina.