«È inverosimile che Mosca e Kiev negozino qualsiasi trattato di pace – un nuovo, stabile assetto postbellico – visto il carico di odio fra i due popoli e di sfiducia fra le due leadership. È invece possibile e necessario annodare una trattativa segreta fra Putin e Zelensky per un cessate-il-fuoco. Premessa del lungo percorso verso il congelamento sine die del conflitto». Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes, la nota e prestigiosa rivista di Geopolitica.
Subito un utile avvertimento storico che fa quasi sperare. «Non c’è nulla di meno temporaneo di una tregua fra nemici irriducibili (Corea insegna) quando nessuno ha a portata di mano la vittoria totale». Il problema è per i leader che la tregua dovrebbero concordare. Questione molto personale, quasi di vita o di morte. «L’ostacolo principale alla tregua è che aprendo formalmente il negoziato entrambi i capi rischierebbero il posto e la vita se dovessero apparire troppo corrivi verso il nemico».
Forse non ancora per Putin ma certo per Zelensky, con le forti contrapposizioni interne pronte a riesplodere nel momento stesso in cui venisse a cadere il collante patriottico.
«Alla Casa Bianca – ma non in tutti gli apparati americani – vorrebbero che la guerra finisse presto. Mentre il Pentagono rinforza le capacità balistiche di Kiev con armi sofisticate, Biden e i suoi premono sugli ucraini per convincerli che rinviando la tregua negozierebbero poi da posizioni di estrema debolezza, vista l’inerzia che sul campo volge a favore dei russi. Contemporaneamente spiegano a Mosca di non avere affatto intenzione di rovesciare Putin».
Lo ha messo nero su bianco Biden il 31 maggio in un articolo per il New York Times: “Non vogliamo prolungare la guerra solo per infliggere dolore alla Russia”. Lo ha ripetuto Zalmay Khalilzad, messo della Casa Bianca, all’ambasciatore russo Anatolij Antonov, nel corso di un pranzo non proprio segreto da Cafe Milano a Georgetown». Serve un accordo, si sarebbero detti Khalilzad e Antonov. Con scambio incrociato di informazioni. Cosa Putin vorrebbe per “normalizzare” i rapporti con gli Usa. A cosa dovrebbe rinunciare Mosca.
Altre diplomazie si muovono più o meno sotterraneamente. Turchia: Erdoğan ha marcato fin dall’inizio della guerra la sua semi-equidistanza fra Russia e Ucraina. «Ora vuole cogliere i frutti di tanta acrobazia offrendosi (dis)onesto sensale nell’eventuale filo telefonico fra Putin e Zelensky». Anche Erdogan con Biden e prima o poi Zelensky, a rischio elezioni.
«Più passa il tempo, più il conflitto può prendere una dinamica inarrestabile. Le conseguenze geopolitiche ed economiche della guerra stanno destabilizzando vaste aree africane e mediorientali, mentre è già oggi in questione la tenuta energetica e non solo di tutti i paesi europei, Italia inclusa».
«Il nostro governo, consapevole dei rischi anche se assai prudente nel comunicarli, è stato il primo a disegnare un ambizioso progetto di uscita dalla guerra per tappe, partendo dalla tregua (e magari finendo con essa). Draghi stesso, nella visita di maggio a Washington, ha segnalato a Biden l’urgenza del cessate-il-fuoco prima che tutto salti».
La grande incognita è l’indefinitezza dei rispettivi scopi reali della guerra per come è andata a definirsi sul campo di battaglia, la conclusione di Lucio Caracciolo. I russi forse tentati dall’arrivare a Kiev e gli ucraini che credono sul serio di recuperare tutti i territori rubati dai russi, inclusa la Crimea?
Non illudiamoci: la tregua sarebbe ingiusta, perché lascerebbe l’aggressore in condizione di vantaggio. Ma la pace “giusta”, comunque la si voglia definire, implica la guerra a oltranza, all’ombra dell’atomica. Meglio una tregua imperfetta che il suo perfetto contrario.