Fuori dagli schemi mediatici, spesso ho raccontano queste azioni minime, alcune semplici, legate a un’idea di misura e di scambio. E oggi parlo di un qualcosa che collettivamente stiamo portando avanti dalle nostre parti, in un piccolo paese che si chiama San Quirico d’Orcia: la soglia come luogo d’incontro. Nel nostro caso la soglia di una libreria vineria, ma anche qualunque altra soglia che consenta lo scambio tra idee e differenze. La soglia di casa, quella simbolica dell’aia di un podere o di un sentiero di campagna.
Da noi la soglia è quel limes fertile tra un luogo dove si vendono libri e vini, un avamposto culturale, e la strada che attraversa il paese, lo proietta metaforicamente nel resto del mondo, facendosi Francigena per viandanti e salotto per famiglie, luogo di gioco per bimbi e di incontro per continuare a essere vivi e non passivamente spettatori attoniti davanti agli schermi dell’epoca.
Quello che passa con l’aria distratta, l’altro che trascina un trolley; la ragazzina che spalanca lo sguardo al mondo, quella che lo pianta sul telefonino. Chi si lascia ispirare e chi si fa guidare dall’algoritmo. Chi fotografa i dettagli e chi passa veloce e non si ferma neanche ad ascoltare Amandine Beyer che suona su quella stessa strada. Sulla soglia di mondi diversi. Mondi distanti, epici, gentili, che si osservano o si respingono.
Il limes è questo cercarsi e respingersi. Trovarsi e perdersi. Passare veloce come in una competizione, perdersi nella deriva delle emozioni, catturando quel pizzico di verità e poesia che sembra introvabile nell’insieme delle fatiche e delle sovrabbondanze della vita. Non ha regole, non ha tour operator che possano orientarlo, né indicazioni. È l’incontro. Quello che avviene nello stare insieme, quello mancato, quello rimandato o fuggente. Qualcosa che trama. Che coltiva. Che genera stupore e ricordo. Gioia e memoria.
Tutto quello che è schematico scorre in un’altra dimensione. Serve per fare mille selfie tutti uguali, per accalcarsi nell’immaginario pop che non prevede altra partecipazione se non l’adesione totale e passiva: rumorosa, chiassosa, alterata o danzante, ma passiva a un sistema che non ha niente a che fare col popolare. Con la cultura popolare che invece genera passioni e attiva memoria, non la cancella sotto le luci stroboscopiche del successo.
Quest’anno torniamo sulla soglia per fare ancora una redazione aperta. Per sedere e conversare. Parlare e ascoltare. Con ordine e disciplina, ha suggerito un’amica argentina che ha immediatamente colto il significato. Nel momento in cui ognuno si accalca per rivendicare l’individualismo dell’io e la costruzione di una rete di plaudenti, la soglia (o il limes) rivendica il meticciato dei saperi, la reciprocità, la capacità di ascoltare il diverso da sé, senza pregiudizio, senza giudizio. Nell’ascolto che genera pensiero critico, che stimola domande e non fa scattare automatiche risposte.
Non dobbiamo temere questo tempo oscuro fatto di certezze assolute, di imposizioni galanti e feroci, di impossibilità culturali e sociali. Non dobbiamo temere il tempo mediatico, occorre rovesciarne il senso, riprendersi lo spazio per farlo. Non temere le piccole azioni sovversive che appaiono inutili. Saranno queste inutilità sulla soglia a restituirci voce e speranza.