
Al confine tra la “enclave” spagnola di Melilla con il Marocco, migliaia di disperati che cercavano di entrare nella città, controllata da Madrid, sono stati brutalmente respinti. È stata una vera mattanza. La loro fuga si è fermata sulle barriere di filo spinato che, come il Muro di Berlino, impediscono l’ingresso verso una nuova vita. Le stime ufficiali parlano di una ventina di morti, ma testimoni locali ed esponenti delle Ong (“Caminando Fronteras” e “Moroccan Association for Human Rights”) arrivano a ipotizzare circa 40 morti e centinaia di feriti. La feroce azione repressiva è stata condotta, è vero, dalla polizia marocchina, ma con la colpevole complicità delle guardie di frontiera spagnole, che non solo non hanno fatto niente per aiutare i profughi, ma li hanno anche duramente respinti. Così, presi tra due fuochi, i richiedenti asilo sono stati pestati a sangue o sono morti soffocati nella calca. Naturalmente, gratta gratta, sotto la vernice di un gravissimo episodio, derubricato come “tentativo di immigrazione clandestina”, c’è il solito stomachevole intreccio di interessi politici (nazionali e internazionali, è ovvio).
D’altronde, predicare bene e razzolare male è una caratteristica comune di molti leader europei di oggi. Sfondiamo una porta aperta, perché gli esempi sono ormai quotidiani. E le “acrobazie” retoriche non conoscono confini ideologici. “Todos caballeros”, insomma e “lunga vita al re”. Battuta che calza a pennello, dal momento che vogliamo parlare proprio del Senor Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, socialista. E progressista (a intermittenza), che quando si tratta di “migrantes”, purtroppo, soffre di astigmatismo cognitivo. Quelli che sbarcano da altre parti sono dei “pobrecitos” da accogliere (e qua siamo d’accordo), mentre gli altri disgraziati che arrivano in Spagna, “sono un attentato alla sicurezza della nazione”. E come tali, es muy claro, possono essere presi a legnate senza che nessuno fiati. Com’è successo a Melilla, territorio spagnolo d’oltremare, in Africa, base di un’epoca onusta di glorie e di allori, in cui i re di Castiglia facevano la voce grossa, quasi in tutto il mondo conosciuto. E siccome Melilla (come Ceuta) è un pezzo d’Europa trapiantato nel Marocco, logico che avvenga un… travaso di popolazione.
Accoglienza? Beh, ci sarebbe da discutere. E non poco. Gli spagnoli sono stati rigidi e poco indulgenti, in passato, con altri Paesi (tra cui l’Italia) “per come trattano i migranti”. Josep Borrell, il molto discutibile Rappresentante UE per la Politica estera e la Sicurezza, in diverse circostanze ha impartito lezioni di “civiltà”. L’altro ieri, dopo il massacro di Melilla, lui spagnolo, non ha aperto bocca, manco per respirare. Felicidades. Il premier Sanchez, invece, ha fatto un discorso surreale: “È colpa delle mafie che trafficano esseri umani – ha detto – la Spagna difenderà la sua integrità territoriale”. Ha poi fatto i complimenti “alla gendarmeria marocchina che ha lavorato d’intesa con la Guardia civil”. Lui, da bravo “nostromo” del galeone iberico, pur di arrivare nel porto giusto è pronto a gettare amici e nemici ai pescecani.
Dunque, dovete sapere che i disgraziati migranti di Melilla sono stati massacrati dopo un patto diplomatico preciso, firmato dalla Spagna e dal Marocco un paio di mesi fa. L’accordo serve a regolare il contenzioso dell’ex Sahara spagnolo, la cui parte orientale è rivendicata dal Fronte Polisario. Per cui, il nuovo corso diplomatico si configura come uno scambio di interessi geopolitici.
Sulla pelle dei migranti, che quando sono scomodi diventano “strumento delle mafie”, come li definisce il governo di Madrid con la connivenza di Bruxelles. Anzi, di Josep Borrell i Fontelles, vice presidente della Commissione Ue, che dovrebbe avere il coraggio di sanzionar se stesso e il suo Paese. E invece si è girato dall’altra parte.