Il sano principio di precauzione è scomparso

Sulla possibile e temibile centrale geotermica progettata sul fiume Paglia all’ingresso della Val d’Orcia ha perfettamente ragione Giorgio Scheggi, ambientalista, attivista e poeta. Perché sventrare un territorio, distruggere coltivazioni, far passare chilometri di tubi, reimmettere fluidi nel terreno senza sapere quali effetti produrranno, rischiare la sparizione delle acque termali e terremoti per costruire l’ennesima cattedrale allo sfruttamento del suolo in cambio di 9,9 megawatt?

Non è una domanda. È la domanda.

La stessa quantità di energia verrebbe prodotta dotando i tetti delle zone industriali di pannelli solari a costi più bassi e a minore impatto ambientale. Probabilmente, aggiungo. Non sono certo un tecnico, ma non ho neanche interessi personali che mi spingono a raccontare certezze assolute che non sempre si dimostrano valide. Parlo e rifletto pensando a un concetto ormai diventato astratto: il bene comune. Un’idea che dovrebbe tornare a esercitare un certo interesse nel mondo della politica, schiacciato da decenni in un’obbedienza muta e cieca alla tirannia del profitto.

Il bene comune legato a un sano principio di precauzione che sembra sparito dal dibattito pubblico. Ed è ovvio. La precauzione evita efferatezze. Le efferatezze si celano nel rischio che invece rappresenta il sale della progettualità che privatizza i profitti e collettivizza i danni, emergenze comprese. In un caso controverso come questo si dovrebbe sempre usare il buon senso, quel principio che in medicina è il “primum non nocere” e che nelle scelte comunitarie e politiche si dovrebbe applicare non a pericoli già identificati, ma a pericoli potenziali; si dovrebbe usare come principio filosofico per evitare di attuare scelte su cose di cui non si ha ancora una conoscenza certa e che quindi potrebbero nuocere alla salute, all’ambiente, alla vita delle persone.

Queste riflessioni non servono per chiedere a un potente di essere magnanimo, a un partito di fare la cosa giusta. Ogni potente cerca il suo vantaggio e basta, per vocazione naturale. Ogni partito sceglie il suo di vantaggio mettendo sulla bilancia il peso del vantaggio del potente e quello, scarso, del bene comune che favorisce i cittadini. Servono a noi, donne e uomini che viviamo nei territori e non pensiamo al successo o alla carriera come destino da realizzare, costi quel che costi in termini di umanità e cinismo.

Dovremmo continuare a fingere discussioni social sul niente o potremmo impegnarci per cambiare l’inerzia culturale che ci rende plaudenti e servili alla corte del potente mediatico o no, sempre brillante ed elegante? Dovremmo continuare ululanti contro i più poveri e silenti quando i nostri diritti di base, esistenziali, umani, vengono depredati?

Che fare, quindi? Per esempio, per quello che riguarda le energie alternative, mi piacerebbe che fossero le istituzioni, i nostri rappresentanti, insieme con le comunità a valutare i principi e gli eventuali progetti. Non il furbetto e ricco imprenditore che schiera la potenza di fuoco della sua propaganda per dimostrare a tutti noi, istituzioni comprese, che abbiamo bisogno esattamente di quello che occorre a lui per fare profitto. Ma come si fa se la politica è stata massacrata, le sezioni chiuse, i luoghi di aggregazione spenti, le iniziative culturali dimenticate per lasciare sotto i riflettori solo  le arene mediatiche incivili e le scintillanti progettazione degli oligarchi? Come si fa se la partecipazione dei cittadini è solo plaudente o ululante virtuale, o nella peggiore delle ipotesi accorre ad omaggiare i simbolismi del potere e dei detentori della tirannia del profitto?

Chi si impegna, un passo alla volta, per rendere fertile e reale il terreno della democrazia, sa che in questo momento storico occorre la vanga per dissodarlo, tanto è secco, arido, sfibrato. E che vanga sia, allora. Il coraggio è sovversivo se rovescia la zolla, non se omaggia il format.

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