Prigionieri di una sconfitta lontana

Mi è passata davanti agli occhi una vignetta di Johnny Hart di una quarantina di anni fa. Un contadino davanti al re seduto sul trono dice: “Rappresento la commissione contadina per l’abolizione della povertà. Voglio sapere perché non avete dichiarato guerra alla miseria”. “Ma io l’ho fatto!”, risponde il re. “E allora perché mai noi siamo ancora poveri?” replica il contadino, e il re: “Voi avete perso”.

Già, è vero. Nel tempo delle cose già avvenute, del post qualcosa declinato in cento rivoli culturali e politici, continuiamo a costruire mille cattedrali di interpretazione delle interpretazioni, a discutere su ogni piattaforma di vaccini o di guerra, di strategie e paure, come se tutto fosse possibile. Come se i temi sui quali ci scontriamo esistessero davvero e non fossero invece immagini riflesse, opache, di una realtà fuori da noi, lontana dalle nostre scelte, dalla nostra politica e dalla cultura.

Viviamo nel post umano. E questa vignetta, semplice e vecchia, ce lo rivela impietosamente. Discutiamo sulle guerre e sulle crisi epocali, e sono solo effetti di qualcosa di feroce che è avvenuto nelle nostre società. Che continua ad avvenire, a riproporsi semplicemente come declinazione di qualcosa che è più simile a un dogma che ad altro. Il nemico eravamo noi, ecco spiegato questo lungo lunghissimo assetto di guerra in tempi di pace.

Nella società dello spettacolo siamo noi gli spettatori e gli interpreti. Immaginario e realtà sono indistinguibili; quello che accade e quello che ci raccontano e ci raccontiamo si confondono, e si confondono vicende reali e rappresentazioni virtuali.

La tirannia del profitto si dispiega senza limiti, è l’effetto di una sconfitta, non la causa. E le declinazioni riguardano la guerra che al di là delle letture banali mediatiche di questi mesi è una condizione cronica. Così come l’incertezza economica è una costante e la devastazione ecologica del pianeta, con tutto il suo carico di dubbi e morte, è una possibilità concreta. Mentre quel sogno che avevamo di solidarietà umana e di pacifica convivenza rappresentano ideali seppelliti dal concreto realismo della sconfitta epocale.

Spesso la storia ci insegna che chi vince non fa prigionieri. Ecco, in questo caso chi ha vinto, una visione della società in cui l’umanità conta zero, ha fatto solo prigionieri. Prigionieri di qualcosa che non sappiamo affrontare perché ormai invisibile ai nostri occhi. Già, che fare allora?

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