Perché studiare cose inutili

Se potessi dare un consiglio ai giovani che si avvicinano al mestiere del giornalismo direi solo questo: studiate le cose inutili, con curiosità, disciplina e umiltà. Studiate la storia, la filosofia, la poesia, il latino, la matematica, l’arte, la musica. Disegnate, camminate nei boschi, raccontatevi libri letti, discutete delle questioni etiche irrisolvibili, cercate l’ago nel pagliaio, immaginate storie, fate danzare le idee.

E poi scrivete. Scrivete la vostra storia, anzi la leggenda della vita, delle aspettative, dei sogni, costruite il ponte dell’utopia e siate leggeri. Poi cercate la storia di vostra madre, di vostro padre, dei nonni, degli zii, degli amici, ricostruite il vostro passato, ricordate i luoghi, le dolcezze, le paure. Scrivete lettere d’amore, scrivetele a mano, con la fatica delle dita che tengono una penna.

Poi ascoltate le storie delle persone. Quella dell’uomo che coltiva il giardino, del vecchio musicista che suona per strada, di chi ama le parole, della ceramista che premedita un colore e una forma, del poeta che disegna parole sulle foglie degli alberi, di chi dona il suo tempo agli altri, di chi costruisce muretti a secco. Lasciate che lo sguardo catturi i dettagli e che la bellezza della deriva psicogeografica spalanchi gli occhi e la mente, costruendo fili invisibili che in un istante possano catturare l’invisibile in modo incredibile.

Insomma, le cose inutili. Quelle che non servono a niente, che non fanno fare carriera, che non aiutano nella scalata gerarchica nei salottini mediatici. La libertà, quindi. La bellezza della libertà. Parafrasando Agnes Heller si può dire che quando si ha un bagaglio di sapere inutile, si può fare tutto “mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.” Ma se lo pensiamo così, sarà sempre giornalismo o toccherà reinventare spazi per il giornalismo? Sarebbe giornalismo per le persone, quelle che stanno salvando il mondo.

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