
Senza agricoltura è difficile sopravvivere e il primo segnale allarmante che indica una possibile crisi alimentare è la mancanza di cereali che conduce direttamente alla mancanza di pane; per questo, dagli albori delle prime organizzazioni umane, furono costruiti magazzini e depositi allo scopo di conservare i cereali per ogni evenienza. Quando una città era assediata, impedire i rifornimenti o provocare una carestia nella zona circostante era infatti prassi corrente: pozzi d’acqua e magazzini di granaglie si esaurivano e seguiva la resa. In qualche caso si andò anche più in là, incendiando le coltivazioni o portando via il raccolto a intere popolazioni.
Melo, assediata dagli Ateniesi, dovette soccombere e nacque l’espressione ‘fame melia’ per indicare una disperata mancanza di cibo; gli Spartani poi devastarono le campagne dell’Attica per impedire i rifornimenti ad Atene. Durante l’assedio di Sagunto da parte dei Cartaginesi, che devastarono anche loro le floride campagne dell’Iberia, la popolazione subì una sorte analoga.
Lo stesso avvenne nel corso del Medioevo in più occasioni, dalle crociate alle guerre tra europei. Anche se non furono provocate ad arte grandi carestie, le guerre produssero sempre effetti devastanti sulle attività degli uomini, come la guerra dei Trent’Anni, per superare i quali la Germania impiegò più di un secolo.
A partire dagli Novanta del XIX secolo, la Royal Navy era ben consapevole di una guerra imminente con la Germania. Alla flotta, oltre a combattere il nemico, sarebbe toccato però anche un altro compito: proteggere i rifornimenti via mare alle Isole Britanniche. Secondo un calcolo fatto all’epoca risultava infatti che la maggior parte delle derrate destinate agli inglesi fosse importata, mentre al contrario la Germania ricorreva a meno importazioni.
Dopo lo scoppio della Prima Guerra mondiale – sebbene si trattasse di una misura di dubbia legalità secondo il diritto internazionale – gli imperi centrali furono chiusi in una morsa e non furono più consentiti rifornimenti alimentari da paesi neutrali. Il blocco provocò prima il razionamento, ma poi – stante la necessità di rifornire comunque i soldati al fronte – cominciò la fame vera e propria. Sebbene i bombardamenti aerei della Seconda guerra mondiale devastarono la Germania, pochi ricordano che la fame dal 1916 al 1919 provocò un numero di vittime superiore (750.000 morti), in maggioranza tra le persone più deboli come gli anziani, le donne e i bambini.
L’altra grande questione fu che, trattandosi di un blocco totale, vennero a mancare anche i fertilizzanti che avrebbero – sia pure di poco – migliorato i rendimenti agricoli. Il blocco non si limitò al periodo bellico, ma si estese ai primi mesi del 1919, fino a che la Germania sconfitta non accettò le dure clausole del trattato Versailles.
Le dolorose esperienze della Grande Guerra spinsero verso lo sviluppo di sistemi agricoli più articolati, meno fragili delle monoculture. Tra le due guerre però il problema dell’autosufficienza alimentare non fu risolto del tutto: in Italia il regime fascista ricorse a una sorta di mobilitazione generale con toni a volte grotteschi, ma il problema rimase perché senza un’agricoltura sviluppata non poteva nemmeno crescere l’industria, che a sua volta avrebbe migliorato il lavoro agricolo.
Prima della Seconda guerra mondiale, per incuranza delle autorità sovietiche, l’Ucraina subì una terribile carestia della quale esiste ancora una memoria che pesa tuttora sulle identità nazionali. Durante i regimi di occupazione nazista in Europa e giapponese in Cina non mancarono episodi di vere e proprie carestie provocate allo scopo di sterminare la popolazione civile o di mantenerla sottomessa.
Nel 1944 in Olanda le autorità di occupazione tedesche, per stroncare la resistenza, bloccarono l’afflusso di generi alimentari alla popolazione civile provocando circa ventimila morti e la situazione non migliorò fino alla liberazione. Altrettanto accadde in Vietnam, occupato dai giapponesi, tra gli ultimi mesi del 1944 e la fine della guerra: la Francia, come ogni potenza coloniale, aveva sempre controllato le materie prime, ma, dopo l’occupazione giapponese, le truppe occupanti avevano cominciato a razziare il bestiame nelle campagne e ad imporre la coltivazione della juta, più utile allo sforzo bellico giapponese, a scapito del riso. Si calcola che siano morti almeno cinquecentomila vietnamiti.