La tempesta economica planetaria arriva anche in Cina

Economia cinese in crisi relativa rispetto ai numeri occidentali da brivido, colpa universale della pandemia, ma per Pechino, colpisce anche la scelta di “zero-covid”, l’isolamento totale di intere vaste zone del Paese, attività produttive comprese, per bloccare la diffusione del virus. Poi la guerra in Ucraina e quella politica degli Stati Uniti contro la Russia. E anche a Pechino, ora sono a rischio molti degli investimenti strategici di espansione nel mondo, ci avverte Piero Orteca

“Se Atene piange, Sparta non ride”

La crisi non fa eccezioni. E se l’Occidente e gli Stati Uniti hanno i loro problemi pregressi, aggravati dalla guerra in Ucraina, ora anche in Cina i nodi stanno venendo al pettine. Per Pechino si tratta di un ciclo di ritorno pandemico, che si sta ripercuotendo pesantemente sul tessuto socioeconomico del Paese, per la campagna adottata: “zero-covid”. È l’applicazione rigorosa della strategia di lockdown totale, voluta da Xi Jinping. Una mossa che ha inciso pesantemente sia sulle attività produttive, sia soprattutto sulla catena di distribuzione di materie prime e semilavorati.
l blocco del porto di Shanghai, per esempio, ha paralizzato interi settori dell’export e, per la proprietà transitiva, la ricaduta sulla “supply chain” di approvvigionamento globale è stata molto significativa.

‘Effetto sottiletta’

L’effetto “sottiletta”, che ha stretto la Cina in un sandwich fatto di ondate reinfettive e limitazioni draconiane, ha avuto e avrà effetti tangibili sulla produzione della ricchezza. Utilizzando una prospettiva grandangolare, è probabile che debbano essere rivisti tutti gli ambiziosi obiettivi di crescita che erano stati prefissati. Ieri, il South China Morning Post di Hong Kong ha dedicato un lungo report al problema. Shi Jangtao ricorda che “il recente avvertimento del premier Li Keqijang secondo cui l’economia sta lottando per rimanere in pista potrebbe avere un effetto a catena sui suoi piani di investimento globali”.
Il giornalista sostiene, inoltre, che “alcuni osservatori dicono che la prospettiva di un rallentamento ostacolerà anche gli sforzi di Pechino per presentarsi come un’alternativa agli Stati Uniti”.

Leadership economica planetaria

Sarebbe dunque questo, quasi specularmente con quello di Washington, il chiodo fisso della leadership cinesi: la corsa al primato economico planetario entro la fine del decennio. Una sorta di Terza guerra mondiale “parallela”, combattuta non con armi che uccidono, ma che “comprano” e che “vendono”. Cioè, dollari e yuan. In ballo c’è il controllo geopolitico di almeno due continenti e mezzo, dall’Asia, all’Africa, all’America Latina. La Cina ha varato, molto per tempo, un progetto faraonico di espansione infrastrutturale che deve fungere da spina dorsale per la successiva penetrazione economica e commerciale in tutto il mondo. La “Belt and Road Initiative”, per funzionare e avviluppare i progetti alternativi agli americani, come la tela di un ragno, ha bisogno di grandi risorse e di “modelli” di sviluppo vincenti. Da proporre “chiavi in mano” ai Paesi a più basso reddito, che puntano a una crescita esponenziale e accelerata.

La geopolitica del fare

Nelle regioni più povere, l’aumento della produttività è l’unico modo per bilanciare l’incremento demografico. Quando la Cina progetta infrastrutture, quindi, fa politica. Anzi, fa geopolitica. L’economia diventa, allora, il grimaldello per aprire sfere d’influenza in nuovi spicchi del pianeta. Per questo c’è bisogno assoluto di risorse e di modelli di sviluppo “vincenti”, da proporre ai Paesi a più basso reddito, che hanno necessità di crescere velocemente.
Ora, l’allarme lanciato da Li Keqiang, sulla contrazione del Pil e sulla conseguente (possibile) riduzione della disponibilità di risorse per investimenti all’estero, sta animando un grande dibattito all’interno della Cina.

Tra politica ed economia

Mentre i politici sono più ottimisti (almeno di facciata), tra gli specialisti di economia, e di finanza in particolare, aumentano le perplessità. Il Pil del 2º trimestre di quest’anno, dovrebbe andare abbastanza al di sotto del 4,8% (1º trimestre). Evidentemente, il blocco del porto di Shanghai, per oltre due mesi, in ossequio alla direttiva “zero-covid”, ha avuto effetti devastanti. I cui contraccolpi, in questo momento, sono difficilmente quantificabili. Un autorevole analista dell’Università di Nanchino, Gu Su, ha dichiarato che “presto potrebbe esserci una profonda revisione della “Belt and Road Initiative”, a causa delle crescenti preoccupazioni sulle capacità della Cina di finanziare porti, ferrovie, centrali elettriche e altri progetti infrastrutturali in Africa, Asia e in America Latina”.

Da parte sua, quasi a sottolineare l’estrema serietà della situazione, il South China Morning Post, azzarda che, prima della fine dell’anno, ci possano essere “novità” (un rimpasto?) ai vertici della leadership cinese.

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