
La questione tecnico-militare la affronta bene Analisi Difesa. La Russia che si dice è pronta a garantire la sicurezza delle navi che dovessero lasciare il porto di Odessa per tornare a esportare il grano ucraino «ma chiede che l’Ucraina si occupi dello sminamento delle acque antistanti alla città». «Le mine nel mare di Odessa per tenere a distanza la Flotta Russa del Mar Nero e scoraggiare uno sbarco della fanteria di marina russa». Mosca si impegna a non approfittarne per colpire o attaccare la città portuale, riferisce Gianandrea Gaiani, ma a Kiev nessuno sembra disposto a fidarsi. Ovviamente il grano per alleviare la fame nel mondo prescinde dalla sua provenienza.
Kiev rilancia con l’ennesima richiesta di nuovi armamenti da parte occidentale. «Sono necessari equipaggiamenti militari per proteggere la costa e una missione della Marina per pattugliare le rotte di esportazione nel Mar Nero», sospettando Mosca di poter utilizzare gli eventuali ‘corridoi del grano’ per attaccare l’Ucraina meridionale.
Specie ora che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha contestato la crescente presenza militare americana in Grecia mettendo in dubbio che le nuove basi siano finalizzate a contestare i russi per l’aggressione all’Ucraina.
«Ci sono nove basi statunitensi in questo momento. Sono state create in Grecia. Contro chi sono state stabilite? La risposta che danno è ‘contro la Russia ma non ne siamo sicuri», ha detto Erdogan al termine di una conferenza stampa congiunta con il presidente venezuelano Nicolas Maduro in visita in Turchia.
Una forte presenza di navi di paesi NATO nel Mar Nero risulterebbe certo sgradita a Mosca ma anche ad Ankara che ha tutto l’interesse a confermare il suo ruolo di potenza anche navale in quel bacino.
La Marina Turca sostiene di poter bonificare gli spazi marittimi intorno ad Odessa sufficienti a creare corridoi sicuri in cinque settimane, mentre gli ucraini valutano che lo sminamento richiederebbe ben cinque mesi. Valutazioni troppo diverse che evidentemente riguardano qualcosa oltre le mine. Di fatto, al momento, le mine politiche sono rivolte al negoziato sulle sanzioni.
Russia e Ucraina si accusano a vicenda di “voler affamare il mondo” ma, oltre a questo aspetto politico economico del conflitto, i dubbi occidentali non riguardano soltanto Putin. Troppo protagonismo della Turchia, che insiste a negare il suo via libera all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, sperando di poter vantare un grande successo internazionale.
«E’ necessario che vengano revocato le sanzioni internazionali perché il grano russo possa essere consegnato sui mercati internazionali e alleviare così la crisi alimentare», ripete Mosca che intanto minimizza il peso delle operazioni militari in Ucraina sull’aumento dei prezzi del grano, e «a non esagerare ‘importanza della produzione Ucraina nella produzione mondiale». Argomentazioni incrociate tra politica e mercato.
Prezzi al rialzo ben prima del conflitto, è il dato accertato. E già nel 2021 erano ben 44 i paesi del mondo a soffrire un deficit alimentare (33 in Africa e 11 in Asia) dovuto a scarsa produzione interna e a difficoltà economiche aggravate dal rincaro di energia, carburanti e prezzo dei cereali. Ma oltre alla complessa e spesso confusa questione nel mercato planetario dei cereali, alimento povero base per molto popoli, resta aperta e insoluta la questione politico militare legata alla guerra in corso.
La Russia chiaramente non intende favorire la ripresa economica dell’Ucraina, dipendente in larga misura dalle esportazioni cerealicole, sottolinea Giacomo Mariotto su Limes. Contemporaneamente Mosca teme che una crisi alimentare possa comportare gravi ricadute sulla sua proiezione geopolitica in Africa e Medio Oriente. Specialmente nei paesi fortemente dipendenti dalle importazioni ucraine, come la Libia (44%), la Siria (12%) e la Mauritania (29%).
Inoltre, il Cremlino aspira a disfarsi del marchio di unico colpevole dell’emergenza alimentare, che in prospettiva potrebbe deteriorarne ulteriormente la credibilità.
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