
Tecnicamente il voto sarà sul ruolo di Johnson quale leader di partito, ma in caso di sfiducia di oltre la metà dei suoi (180 deputati) egli si dovrà dimettere anche come premier. Downing Street da parte sua ha fatto sapere che ‘BoJo’ accoglie con favore questa svolta che permetterà di mettere un punto sullo scandalo Partygate, ci informa Nicol Degli Innocent, dell’ANSA. Mentre lui, ovviamente parla d’altro.
«Il governo britannico rivendica come giustificata la prevista fornitura di sistemi missilistici multi-testata a lungo raggio all’Ucraina». Lo scrive il premier Boris Johnson in un messaggio in cui ignora il cruciale voto di fiducia di stasera sulla sua leadership in casa Tory per tornare a sfidare invece la Russia di Vladimir Putin. I sostenitori del premier sono certi che supererà facilmente l’ostacolo e potrà continuare a governare senza più la spada di Damocle sulla testa.
«Arriva il momento della verità per Boris Johnson, che stasera dovrà affrontare un voto di fiducia. Anche se, come probabile, sopravvivrà al voto il premier britannico si troverà in una posizione fortemente indebolita», la lettura del Sole24Ore. L’annuncio è arrivato stamani da Graham Brady, presidente della Committee che gestisce i deputati conservatori. Brady non ha voluto rivelare il numero esatto di lettere che ha ricevuto ed è quindi difficile prevedere esattamente l’esito del voto. Per vincere, Johnson ha bisogno del consenso del 50% dei deputati più uno, quindi almeno 180 voti favorevoli.
«Innanzitutto le regole possono essere modificate, come ha ammesso oggi lo stesso Brady. L’altra questione riguarda il numero di voti contrari: se Johnson vincerà di stretta misura sarà una vittoria di Pirro che non taciterà le voci dei suoi detrattori». Nessuno nel partito conservatore ha dimenticato che Theresa May, precedessore di Johnson, aveva vinto il voto di fiducia all’apice delle divisioni nel partito a causa di Brexit, ma pochi mesi dopo era stata costretta alle dimissioni.
I suoi sostenitori ritengono che rimuovere Johnson dall’incarico e cercare un nuovo leader farebbe scattare una “guerra civile all’interno del partito conservatore” e sarebbe irresponsabile in un momento di crisi economica e durante la guerra in Ucraina. Ma In realtà la ‘guerra civile all’interno del partito è scoppiata da tempo’ e «un numero crescente di ex-sostenitori del premier hanno preso le distanze o lo hanno criticato sia per avere violato le regole da lui stesso imposte che per avere mentito al Parlamento quando aveva dichiarato più volte che non c’erano state feste a Downing Street».
Le critiche al premier non sono limitate allo scandalo partygate. «Molti deputati non condividono la linea dura contro l’Unione Europea e la minaccia di abrogare unilateralmente il Protocollo irlandese, che temono possa avere ripercussioni negative sia economiche che politiche per la Gran Bretagna». E molto altri, pur sostenendo una politica di immigrazione controllata, sono contrari alla provocatoria e irreale decisione del Governo di spedire gli immigrati illegali in Rwanda senza possibilità di appello o di ritorno.
A favore del premier gioca il fatto che non c’è un chiaro successore che abbia il sostegno di gran parte del partito. «Tra i vari papabili, il candidato con più esperienza è Jeremy Hunt, ex ministro della Sanità e degli Esteri, che nell’ultima sfida per la leadership del partito era arrivato secondo dietro a Johnson. Hunt non nasconde le sue ambizioni e ha già dichiarato che stasera voterà contro il premier».
Il leader dell’opposizione, il laburista Keir Starmer, oggi ha dichiarato che anche se Johnson dovesse vincere il voto di stasera «questo sarà per lui l’inizio della fine».