
Pochi giorni fa aumento dei prezzi dei carburanti del 20%, ed è una delle condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale per sbloccare il pacchetto di assistenza finanziaria da 6 miliardi di dollari concesso nel 2019 e da allora sospeso per ben tre volte a causa di presunte inadempienze. Via i sussidi sui carburanti in cambio di 900 milioni di dollari necessari per evitare il fallimento. Sbloccato il prestito, con altri due miliardi di dollari di premio, ma il prezzo da pagare risulta troppo salato per la popolazione. Carburanti, oli alimentari e altri generi di prima necessità che Islamabad deve acquistare sui mercati internazionali. E chi può e possiede, scappa. Capitali in uscita con una rapida svalutazione della rupia, il cui valore contro il dollaro è crollato in neanche due mesi del 10%.
Il Movimento per la Giustizia, formazione populista fondata e diretta dall’ex giocatore di cricket Imran Khan, era uscito vincitore delle elezioni del 2018 col 32% dei voti e 149 seggi su 342. Ma Il 10 aprile le opposizioni col sostegno di tradimenti politici interni al governo. hanno sfiduciato l’ex premier, sostituendolo con Shebhaz Sharif, Presidente della Lega Musulmana del Pakistan, partito conservatore e liberale. A sostenere il cambio di governo sono stati alcune delle lobby economiche e soprattutto i vertici militari – in un paese che conta nella sua breve storia un lungo elenco di colpi di stato – favorevoli ad un riavvicinamento del paese a Washington, dal quale il Pakistan negli ultimi anni si è allontanato considerevolmente, sottolinea Pagine Esteri
La scorsa settimana decine di migliaia di sostenitori di Imran Khan hanno dato il via a una “lunga marcia su Islamabad” contro la quale il governo ha schierato l’esercito, con manifestanti uccisi e feriti. Partita da Peshawar, la manifestazione ha raggiunto la capitale. Accusa politica al governo, una specie di golpe con il sostegno dei militari e di Washington, con la richiesta di immediate elezioni politiche. Fin da quando l’ex opposizione ha iniziato le manovre per rimuoverlo dal potere, Khan ha denunciato gli eventi come il risultato di un complotto ordito da alcune forze interne con il sostegno della Casa Bianca, accusata di voler imporre un vero e proprio “regime change”.
A spingere per la svolta politica fili americana, il Vice Segretario di Stato Donald Lu quando ha avvisato l’ambasciatore pakistano negli Usa che la permanenza dell’ex campione di cricket al potere avrebbe “avuto ripercussioni” sui rapporti tra i due paesi. Washington non ha mai gradito il graduale avvicinamento del paese alla Cina, attraverso ad esempio la firma di un gran numero di progetti di sviluppo del Corridoio Economico Cina-Pakistan, un piano promosso da Pechino che fa parte della Nuova Via della Seta per un totale di 62 miliardi di dollari di stanziamenti. Ma a goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso nei rapporti con Washington sarebbe stato il recente avvio di forti relazioni anche con la Russia
Il Pakistan si è astenuto all’Onu sulla mozione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e sull’espulsione della Russia dal Consiglio dell’Onu sui Diritti Umani. In precedenza, ha sostenuto il ruolo russo di pacificazione tra Armenia e Azerbaigian e l’intervento in Kazakistan. E poche ore prima che l’esercito russo varcasse il confine con l’Ucraina, il 23 febbraio Khan ha compiuto un viaggio a Mosca per discutere dei gasdotti e degli oleodotti che l’impresa russa statale Gazprom vuole realizzare in Pakistan. In particolare il Pakistan Stream, lungo 1100 km dalla Russia al Pakistan, che sarà finanziato da entrambi i paesi e realizzato in collaborazione con imprese russe. Inoltre il Pakistan ha firmato un contratto per l’importazione da Mosca di 2 milioni di tonnellate di grano.
Storicamente il Pakistan è stato a lungo un alleato di ferro di Washington. «È stato il Pakistan a distribuire ai mujaheddin i soldi e le armi provenienti dagli USA e dall’Arabia Saudita con l’obiettivo di indebolire i sovietici», ricorda apertamente il reporter. Ma i rapporti si sono deteriorati quando gli Stati Uniti hanno cominciato ad avvicinarsi all’India, storico nemico di Islamabad dalla sua indipendenza, 1947, per il controllo del Kashmir.
Dal 2010 Nuova Delhi ha iniziato a diminuire le importazioni di armi russe e ad aumentare quelle provenienti da Washington, da Parigi e da Tel Aviv. Dal 2014, invece, la Russia ha iniziato a vendere armi anche al Pakistan, che nel frattempo iniziava già ad avvicinarsi alla Cina. Nell’autunno del 2021, quando Washington ha chiesto a Imran Khan di poter disporre di una base militare in Pakistan dalla quale sorvegliare l’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe occidentali dal paese, l’allora primo ministro rispose con un secco «absolutely not».
«Khan, del resto, si è sempre opposto al sostegno dato dai governi precedenti all’occupazione statunitense dell’Afghanistan, costati al Pakistan 70 mila morti e centinaia di miliardi di dollari di mancato sviluppo economico», sottolinea Pagine Esteri. Invece Pechino ha investito più di 110 miliardi di dollari in Pakistan: un pilastro della cosiddetta Nuova Via della Seta, con un gasdotto per portare il gas iraniano in Cina risparmiandosi i lunghi viaggi delle navi cisterna.
‘Orizzonti politici’ ricorda come l’aeroporto militare di Peshawar sia stata la base operativa da cui la CIA osservava i sovietici, e come il Pakistan abbia avuto un ruolo fondamentale nella distribuzione di finanziamenti e armi destinate ai mujaheddin contro l’armata rossa in Afghanistan. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, il Pakistan è tornato ad essere un partner strategico e necessario per gli Usa. Ma Il recente ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, ha messo in luce le fragilità delle relazioni tra Washington e Islamabad.
Casa Bianca arrabbiata, ma con molto ritardo. Le forti relazioni economiche e militari tra Pechino e Islamabad risalgono quantomeno al 2015, anni prima che il leader populista Imran Khan conquistasse il potere. La pragmatica diplomazia cinese resta convinta che gli stretti legami tra i due paesi non possano essere messi seriamente a rischio dal nuovo governo e neanche dal potente esercito pakistano, coccolato da Washington. «L’opinione pubblica è in generale più incline a sostenere un’alleanza con Pechino che negli ultimi decenni ha prestato 40 miliardi di dollari a Islamabad e ha finanziato numerose infrastrutture energetiche e la modernizzazione delle vie di trasporto, piuttosto che con gli Stati Uniti». E anche la maggior parte delle armi in dotazione all’esercito pakistano, ormai, provengono dalla Cina.
Il 26 aprile un attentato suicida di un presunto membro dell’Esercito di Liberazione del Belucistan, ha causato la morte di quattro persone. «I prossimi giorni saranno cruciali per capire quale direzione prenderà un paese come il Pakistan, 200 milioni di persone, strategico per gli equilibri geopolitici nello scacchiere asiatico ed è dotato di un consistente arsenale atomico», ricorda al mondo Santopadre.