Microchip e semiconduttori la vera minaccia alla Russia di Putin

‘Bottlenecks’, ‘colli di bottiglia’, le strozzature negli approvvigionamenti che, fanno mancare un componente essenziale e bloccano interi settori produttivi, anche militari. Ne sappiamo qualcosa anche in Italia con i microchip ormai essenziali per auto ed elettronica varia che arrivano col contagocce. Per la Russia -spiega Orteca- c’è in ballo ben altro. Microchip, semiconduttori e server che stanno venendo a mancare all’economia russa, a causa delle sanzioni, e se il bene in lavorazione è ad alto valore aggiunto, il danno subito sarà proporzionalmente più elevato.

Ben altro che petrolio e gas russo

Gli analisti più avveduti sanno che una guerra commerciale si può vincere massimizzando gli sforzi, su alcuni obiettivi precisi del sistema-Paese avversario. In una corretta analisi costi-benefici, questo consente di colpire duro, minimizzando l’effetto “di ritorno”. Ora, il Financial Times dedica un report a un settore che, forse, finora è stato un po’ trascurato dall’Occidente nella sua battaglia contro Putin. Ci si è concentrati, infatti, sulle materie prime e sui grandi flussi valutari “primari”, dimenticandosi di prestare maggiore attenzione ai ‘crossroads’, i crocevia, la svolte tecnologiche obbligate.

Poca tecnologia avanzata

Ci spieghiamo. La Russia utilizza solo l’1% dei microchip e dei semiconduttori mondiali, una quantità in apparenza insignificante. Ma quella quota le consente di produrre beni tecnologici di ultima generazione “dual use”, cioè con impieghi sia civili che militari. Colpire questo settore, ma soprattutto bloccare il possibile approvvigionamento da “zone grigie” (in pratica contrabbando), significherebbe mettere in ginocchio, nel lungo periodo, un’area produttiva vitale per l’economia di Mosca. E che rifornisce di strumenti indispensabili le sue forze armate e gli apparati di intelligence.

Financial Times

Anna Gross e Max Seddon, nel loro articolo, comunque sostengono che le sanzioni tecnologiche stanno cominciando a colpire duramente le industrie di Putin. Tuttavia, avvertono gli autori, bisogna monitorare attentamente il comportamento della Cina. Infatti, su circa un miliardo di dollari di microchip acquistati dalla Russia in Asia, almeno la metà arriva attraverso aziende di Pechino. Anche se le cose non sono sempre così facili, perché anche i cinesi cercano di agire con prudenza, temendo ritorsioni per i loro marchi. E poi, avverte il FT, c’è un problema “qualità” che ostacola il tentativo dei russi di supplire con una produzione “autarchica”.

Problema qualità

Il FT scrive: “Sberbank ha detto, l’anno scorso, che i microchip Elbrus, della russa MCST, avevano catastroficamente fallito i test, mostrando che la loro memoria, elaborazione e capacità di larghezza di banda erano molto al di sotto di quelle sviluppate dall’americana Intel”.
Naturalmente, l’impatto negativo delle sanzioni occidentali su questo settore e più lento. Ma è progressivo e alla fine sarà devastante, perché farà arretrare in modo significativo la capacità dell’economia russa di produrre valore aggiunto e, quindi, ricchezza.

Telecomunicazione e 5G

I più grandi gruppi di telecomunicazione del Paese – secondo il report – non saranno in grado di accedere alle apparecchiature 5G, mentre i prodotti di ‘cloud computing’, del leader tecnologico Yandex e della stessa Sberbank, faranno fatica a espandere i loro servizi di data center”. Un problema insormontabile sta diventando anche quello dei server. Dei 158 mila “X86” consegnati l’anno scorso e indispensabili per la centralizzazione e l’immagazzinamento dei dati, solo il 27% è, stato prodotto in Russia. Il resto è arrivato dagli Stati Uniti (39%) e dall’Asia. Attualmente, però, la situazione sta diventando molto critica. Mancano i chip di alta qualità che entrano, necessariamente, nella componentistica dei server di ultima generazione.

La micidiale ‘nuvola informatica’

Così, “VK Cloud Solutions” si è addirittura rivolta al Cremlino, chiedendo aiuto urgente per trovare decine di migliaia di server. Comunque, bisogna anche dire che piove sul bagnato. In passato, scrive FT, la Russia aveva sempre saputo barcamenarsi, eludendo le sanzioni grazie a “giochi di sponda” e triangolazioni con importatori e broker di altri Paesi. Un mercato di tutti i colori (dal grigio …al nero) che funzionava. E che faceva mangiare tutti quanti. Ma microchip e server non sono come i barili di petrolio o i sacchi di farina. Il contrabbando è più difficile e, soprattutto, basta un granellino nell’ingranaggio e si blocca tutto il processo produttivo. Poi, il momento non poteva essere peggiore.

I “colli di bottiglia” dei microchip c’erano già prima dell’invasione russa. Ora, anche se ti presenti al mercato nero di Hong Kong e gli dici che ti manda Putin, li paghi sempre e comunque tre volte di più. Se li trovi. O se te li danno.

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