
Nonostante la rigida censura e il controllo pervasivo dei mass media, da Pechino filtrano notizie secondo cui la posizione di Xi Jinping all’interno del Partito sarebbe meno solida di quanto appare. Dopo aver inserito il proprio “pensiero” nella Costituzione (come fece Mao Zedong), il leader si apprestava ad ottenere un inedito terzo mandato al XX congresso del PCC che si terrà in autunno.
Tuttavia la situazione economica del Paese, a causa dei continui “lockdown” e della politica del “Covid zero”, si è rapidamente deteriorata. Il “lockdown” totale di Shanghai è finalmente terminato liberando i 25 milioni di cittadini che hanno dato vita a manifestazioni di entusiasmo. Ma si prevede comunque l’arrivo di una crisi economica peggiore dell’ultima, che risale a due anni orsono. Previsto inoltre un aumento della disoccupazione, soprattutto nelle face giovanili della popolazione.
Si ipotizzava inoltre una crescita del Pil del 5,5%, mentre le ultime indicazioni la fissano al 4,5%. A sorpresa, il premier Li Keqiang ha affermato pubblicamente che “i progressi non sono soddisfacenti”. E questa è una novità, poiché simili dichiarazioni pubbliche sono del tutto inusuali in un Partito monolitico come quello cinese.
Ma c’è di più. Li Keqiang ha pure deciso di fare una videochiamata collettiva a migliaia di quadri del Partito, spronandoli a trovare un equilibrio migliore tra la lotta alla pandemia e le esigenze della crescita economica. Le risposte non sono state incoraggianti, e parecchi responsabili di grandi città hanno preferito sottrarsi alla videochiamata.
Se ne deduce che il premier sta cercando di ritagliarsi uno spazio autonomo rispetto a Xi, e la videochiamata collettiva ne è una dimostrazione importante. Xi Jinping, insomma, a dispetto della sua apparente invulnerabilità, potrebbe arrivare indebolito all’apertura del XX congresso.
Continuano inoltre a circolare voci circa l’insoddisfazione di settori del Partito per la stretta alleanza stipulata con la Russia di Vladimir Putin. Il motivo è evidente. I rapporti economici e commerciali con l’Occidente sono di gran lunga superiori a quelli con la Federazione Russa, e si teme che le tensioni con Washington e altre capitali occidentali possano aggravare ancor più l’annunciata crisi.
Altro motivo di preoccupazione è il completo appoggio giapponese agli Usa sulla questione di Taiwan. Le continue violazioni dello spazio aereo dell’isola da parte dell’aviazione di Pechino rischiano, secondo parecchi esponenti del Partito, di aggravare ulteriormente la situazione che dovrebbe, invece, essere mantenuta sotto controllo.
Nel frattempo la Repubblica Popolare ha avuto un insuccesso anche nel Pacifico meridionale. Solo le Isole Salomone hanno firmato un “trattato di sicurezza” con Pechino, ma gli altri arcipelaghi dell’area, per esempio le Isole Figi, hanno rifiutato di farlo. C’è chi ne ha tratto la conclusione che l’aggressività in politica estera non paga, e che occorrerebbe invece tornare alla tradizionale strategia basata sui rapporti economici e commerciali.
Sarà ora interessante vedere cosa accadrà realmente al Congresso, e se il premier Li Keqiang avrà sul serio la forza – e il coraggio – di contrapporsi all’attuale leader supremo. Si ipotizzava che Li Qiang, segretario del Partito a Shanghai, sarebbe stato il nuovo premier al posto di Li Keqiang, ma la pessima gestione della pandemia nella grande metropoli starebbe allontanando tale possibilità.