
Proponiamo qualche nuovo spunto di riflessione sull’allargamento della Nato verso Est. Parlando di storia, per carità, e lasciando da parte tutte le stucchevoli polemiche riservate a chi la spara più grossa. È inutile perdere tempo nel giudicare la qualità del dibattito che ci viene offerto. Nessuno ha la verità in tasca, certo. Ma un rigoroso approccio analitico impone di costruire le proprie valutazioni sull’uso di fonti documentarie, citandole per renderne possibile la verifica. E proponendo delle interpretazioni comparative, che distinguano i fatti dai commenti. Con l’avvertenza che l’approccio a un problema geopolitico, fatto con l’assertività di un tifoso di calcio è, naturalmente, tempo perso.
Recentemente, “Der Spiegel” ha pubblicato un lungo articolo di Klaus Wiegrefe, sui file appena rilasciati dagli archivi del Ministero degli Esteri tedesco, e che riguardano “l’espansione verso est della Nato e l’indipendenza dell’Ucraina”. Secondo l’autorevole rivista amburghese, i documenti “contengono dettagli precedentemente sconosciuti”, e non potranno che alimentare il dibattito, sul ruolo avuto dalla Germania nell’evoluzione dell’Europa orientale.
I file dimostrano che, sia il Cancelliere Kohl, che il Ministro degli Esteri Genscher, hanno cercato in tutti i modi di bloccare l’allargamento della Nato verso Est. Entrambi temevano, nel 1991, un crollo catastrofico dell’Unione Sovietica, accelerato da spinte esterne. Nel contempo, non erano nemmeno sicuri della solidità della posizione di Gorbaciov. Così, dal punto di vista dei tedeschi, qualsiasi accelerazione nell’allargamento della Nato avrebbe potuto rafforzare i gruppi della “restaurazione” a Mosca. Come poi, in effetti fu, con il colpo di Stato fallito soltanto per la pronta reazione di Eltsin e di alcune unità fedeli, di stanza nella capitale. Fino al novembre del 1991, Kohl aveva continuato a fare pressioni anche sugli ucraini, affinché rimanessero in qualche modo legati alla Russia. Una posizione drasticamente cambiata dopo il referendum sull’indipendenza.
Ma “Der Spiegel” sostiene che i tedeschi continuarono a “giocare contro la Nato a est” anche dopo. “Utilizzando una serie di trucchi”. Secondo Kohl, gli ex Paesi del Patto di Varsavia “andavano finlandizzati”. Insomma la posizione di Kohl e, soprattutto, quella di Genscher, meglio nota come Dottrina della Ostpolitik, è nata solo dalla prudenza e dal desiderio di assicurare la pace per il bene dell’Europa? Oppure, come sostiene il socialdemocratico Michael Roth, Presidente della Commissione Affari esteri del Parlamento tedesco, c’è stato uno scambio, un accordo con Mosca, “a spese di altri Paesi dell’Europa orientale?”. La verità è che la questione, comunque la si ponga, appare molto ingarbugliata. E che, soprattutto, i tedeschi sono stati fin troppo ambigui, infoiati com’erano dall’offa della riunificazione. Hanno promesso tutto a tutti.
Con gli americani, costretti a fare buon viso a cattivo gioco, fino alla fine dell’URSS nel maggio del 1991. Genscher avrebbe voluto mettere per iscritto, addirittura, la neutralizzazione dei Paesi ex Patto di Varsavia. Formalizzando, in pratica, il divieto a entrare nell’Alleanza atlantica. I documenti dicono che, in quella data, a Washington, gli Stati Uniti hanno assunto una posizione “aperturista”. Cioè, non hanno escluso futuri allargamenti. “Der Spiegel”, poi, con grande onestà, ammette che nei nuovi file ci sono spunti che potrebbero, in qualche modo, suffragare le “lamentazioni” russe. E cioè quelle di avere avuto delle promesse non mantenute.
Diciamo chiaramente che non c’è mai stato un impegno scritto e che i “giochi di prestigio diplomatici” li hanno fatti i tedeschi. Per arrivare a ogni costo alla riunificazione della Germania. E poi, la loro “Ostpolitik” si è progressivamente liquefatta perché, il crollo politico, il crollo economico e il crollo sociale dell’ex Unione Sovietica si sono praticamente intrecciati. Così, i Paesi che facevano parte dell’ex Patto di Varsavia hanno dovuto a tutti i costi “differenziarsi”. Non è stato solo un problema di sicurezza, ma anche l’esigenza di marcare la specificità di un nuovo modello politico e produttivo.
E, in ogni caso, l’Atto costitutivo Nato-Russia, del 1997, è stato firmato masticando amaro, anche dai russi. Quindi, casomai, Putin anziché fare la guerra all’Ucraina, avrebbe dovuto dichiararla ai ministri russi dell’epoca. È questo il secondo “turning point” anomalo, sul quale una seria ricerca, che voglia ricostruire la storia della relazioni diplomatiche di quegli anni, dovrebbe indagare. Che interesse avevano i tedeschi a tenersi buona la Russia e a neutralizzare, “congelandola”, tutta l’Europa Centro-orientale?
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