
Inizia come un favola Luca Caracciolo. «C’era una Nato e oggi ne contiamo almeno cinque, più il capogruppo americano con il pallido vicino canadese». Sommerse ma identificabili già prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Emerse e a tutti visibili al quarto mese di guerra. In ordine di avversione a Mosca e vicinanza a Kiev.
«Giriamo pagina, perché gli altri quattro attori – una quasi squadra e due solisti – coltivano diversa priorità: salvare l’Ucraina senza rompere con la Russia. Anche per timore che la Russia si rompa in frammenti potenzialmente incendiari, di cui alcuni nucleari. O un minuto prima scateni rappresaglia atomica».
L’asimmetria Francia-Germania-Italia, in via di allargamento alla Spagna. Quadrilatero euroccidentale espandibile a soci affini, pronti a chiudere la partita il prima possibile. «Pattuglia diplomaticamente acrobatica, perché tenere insieme i diritti dell’aggredito e i propri interessi, non solo energetici, impone qualche contorsione».
Euroquad, percorso dalla guerra alla tregua come proposto dall’Italia, verso un futuro ordine paneuropeo. Russia inclusa. «Entusiasticamente sostenuto da Macron. Decisiva la Germania, per almeno due motivi: è potenza di mezzo, storicamente oscillante fra Occidente e Oriente, legata alla Russia soprattutto per via energetica; ed è a sua volta divisa fra Bundesrepublik originaria, avversa a Putin e abbastanza esplicita nel sostegno a Zelensky, ed ex DDR, ovvero gli avanzi di Prussia e Sassonia da sempre vicini alla Russia in tutte le sue forme».
Impero in ambiziosa ricostruzione, dai Balcani alla Siria, dall’Asia centro-occidentale all’Africa, con perno sulla Tripolitania. Parola d’ordine, non puntare tutto su un solo schieramento, ma solo sui propri interessi. Per ora, unico paese ad aver posto un provvisorio veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. «Per dare via libera, attende adeguate remunerazioni, soprattutto in armi americane di punta (F-35 o almeno F-16). A Washington Erdoğan non accende passioni, ma impone rispetto».
Tradotto nel teatro di guerra, la ‘Transcarpazia ucraina’, dove vive una esigua minoranza magiara, (provvisoriamente amministrata da Kiev). Orbán è il grande sabotatore delle sanzioni contro la Russia. «Sufficientemente ingombrante da esasperare americani, britannici e baltici. E altrettanto da consentire ad altri euroatlantici di mandarlo avanti perché a loro viene da ridere».
Fra i responsabili di Kiev che sul ritorno di Crimea a Donbass ormai lo riducono a propaganda, il malumore nei confronti della Nato è esplicito. Tante belle parole (troppe quelle di Zelensky) e poco altro. Tutto il resto, armi e addestratori in testa, arriva da accordi di Kiev con singoli paesi atlantici.
Per Washington Kiev è importante, la sua causa è giusta, «Ma gli apparati americani non sono disposti a sacrificare l’unità del loro informale impero europeo all’unità dell’Ucraina. Aprendo varchi alla penetrazione cinese oltre che russa nel Vecchio Continente». Col rischio di troppi europei ‘in libera uscita’.