Su cause ed effetti del saccheggio del territorio

Quando ero un bambino vivevo in campagna.  Avevo una bella casa col giardino e l’orto, accanto ad altre case con giardino e orto. La strada era bianca. Davanti al cancello c’era un prato e ci giocavamo a pallone. Era un quartiere pieno di bambini. Dietro c’era un campo infinito, alberi, una siepe di more costeggiava un sentiero che portava alle scuole; c’era tanto spazio libero dove andavamo a raccogliere il muschio e a giocare alle Olimpiadi.

Da adolescente saltavo la recinzione dietro casa e per chilometri, in una campagna disseminata di casette, all’ombra di alberi altissimi, lungo serpentine di terra che attraversavano i frutteti, andavo a correre con gli amici.

Era un posto bellissimo. D’estate era meglio di qualunque vacanza. Le passeggiate senza meta, in bicicletta, duravano ore. Erano avventurose scoperte di luoghi sconosciuti: i laghetti di acqua sulfurea, le sorgenti, il campo da tennis abbandonato e lontano chilometri, in fondo alla campagna, dove andavamo a giocare fino al tramonto. Una pallina sbucciata che qualcuno aveva dimenticato e due racchette vecchie trovate in fondo a una cantina. Per noi era Wimbledon. Il campetto di erba spelacchiata davanti a casa invece era l’Olimpico. Le partite a piastre, a carte, a palline ci rendevamo agonisti e amici.

Nei giorni scorsi sono andato a trovare mio padre che vive sempre nella stessa casa col giardino e l’orto. Ma dove c’era il bosco c’è il parcheggio di un centro commerciale; negozi e un albergo gigantesco dove la campagna era lussureggiante e il muschio cresceva poetico.

Il mondo cambia. Le cose cambiano. I posti cambiano.

Ho camminato. Senza meta, in una deriva del tempo, solcando le mappe del territorio che ricordavo e di quello che appariva ai miei occhi. Case, cemento, abbandono. Immondizia, sbarre alle finestre, porte blindate, giardinetti blindati. Marciapiedi divelti, centri commerciali nuovi accanto a quelli abbandonati, macchine parcheggiate ovunque. E ovunque un assalto al verde residuo. Progetti su progetti di insediamenti di villette a schiera e di casermoni messi lì a ospitare altri centri commerciali, con parcheggi asfaltati e alberelli finti striminziti.

Era un paradiso. Ora un inferno. Ma come è stata possibile una distruzione simile?

Mi racconta il mio amico e mentore Tommaso Verga che si alternano cementificazioni assurde e sequestri di manufatti nell’ambito delle indagini sulla criminalità che detta legge nella periferia est di Roma. E il paradigma è sempre lo stesso: l’interesse privato confligge con il bene comune, il primo sventola i valori della ricchezza, il secondo no. Il primo è interessante per la politica, il secondo no, al massimo è merce di scambio. Così in un intreccio malefico tra ricchi rapaci, politici a cui servono aiuti dei ricchi rapaci, banditi più o meno mascherati, e indifferenza dei cittadini che origina da decenni di sconfitte che hanno portato a una resa incondizionata, domina il saccheggio del territorio in tutte le sue declinazioni. E la brutalità dei rapporti sociali, la cattiveria, la prepotenza, la fatica di vivere rappresentano gli effetti finali di un processo lungo e feroce.

Ecco, passo dopo passo, ho camminato sulle macerie di questo saccheggio. Pensando che mentre siamo qui a dare interpretazioni sulle interpretazioni della realtà, alla luce di questa o quella ideologia o più semplicemente incantati da questo o quel vantaggio privato che non ci riguarda, hanno rubato le nostre strade, le nostre case, i quartieri, le campagne, i campetti, i fiori, gli alberi, le biblioteche. E hanno dato una bella passata di asfalto, cancellando tutto. Hanno preso il nostro futuro, il futuro di una comunità che vive in un territorio e ne hanno fatta carta straccia.

E di fronte alla realtà della sconfitta di tutti, a favore della vittoria clamorosa di pochi devastatori e sfruttatori del bene comune, non ci resta che piangere o lottare di nuovo. O al limite tacere indifferenti, restando seduti davanti alle stucchevoli arene televisive del niente sotto vuoto spinto, spettatori della fiera delle interpretazioni di una realtà che nessuno vede e racconta più

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