C’era una volta il West. L’Amerika di Hollywood e la politica armata

Dietro la potente lobby americana dei produttori di armi da fuoco c’è l’uso strumentale di episodi della storia degli Stati Uniti che fanno parte dell’identità nazionale e dell’auto-rappresentazione collettiva di un popolo. Un po’ di storia per andare alle radici della drammatica attualità delle stragi anche nelle scuole, e delle indecenze politiche alla Donald Trump.
A scoprire la vera e propria regressione culturale del Paese più potentemente armato al mondo.

Tra storia e leggenda

Nel tardo autunno del 1620, quando i padri pellegrini sbarcarono sulla costa del Massachusetts, oltre ad un torchio da stampa, portarono al seguito anche un piccolo numero di armi da fuoco per la difesa o la caccia: ne fu fatto un uso sporadico, ma nel 1645 nacque anche un embrione di milizia volontaria composta dai coloni armati per proprio conto. L’autentica svolta nel rapporto tra i coloni americani e le armi avvenne però all’incirca un secolo e mezzo dopo e precisamente nel 1775, all’inizio della guerra d’indipendenza.
Il primo scontro con le truppe britanniche a Lexington fu sostenuto da un reparto di volontari armati con fucili tenuti normalmente in casa che respinsero i soldati del re. I componenti della milizia – non si trattava ancora dell’esercito regolare agli ordini di George Washington e ‘pagato’ con le tasse imposte dal Congresso – erano chiamati ‘minuteman’ perché in pochissimo tempo sarebbero dovuti accorrere a combattere contro i soldati inglesi.
L’episodio divenne leggenda e ben presto John Parker, comandante dei ‘Lexington Minuteman’ armati con i propri fucili, assurse ad eroe nazionale.

La National Rifle Association

L’associazione fu fondata a New York nel 1871, qualche anno dopo la conclusione della guerra civile, ma per capirne meglio l’origine sono necessarie due osservazioni: nel corso della guerra civile il sistema industriale americano – per quanto sviluppato ¬– non sempre era stato in grado di soddisfare la domanda di armi costringendo ad importare fucili dall’estero (ad esempio dall’Austria-Ungheria) e inoltre mancava un’organizzazione sportivo-patriottica, sul tipo di quelle europee, tra i normali appassionati di tiro a segno.
La prima svolta provocata dall’associazione fu una scelta protezionista, molto gradita all’industria, che limitava la concorrenza delle importazioni nel settore. Sebbene in anni successivi la politica tentasse di ridurre l’influenza delle grandi concentrazioni industriali nell’economia americana, cioè i cosiddetti ‘monopoli’, poco o nulla avvenne nel settore delle armi che, soprattutto dopo la seconda rivoluzione industriale, si sviluppò notevolmente.
Interessante osservare che, in questo periodo, non fu tanto l’esercito a sostenere la domanda, perché dopo la guerra civile era stato drasticamente ridimensionato, ma il settore civile, soprattutto per l’espansione nella parte orientale del paese, romanticamente chiamata ‘conquista del West’.

Una fase prudente

Fino alla Prima Guerra mondiale la NRA organizzò gare di tiro in stretta collaborazione tra le forze armate e le industrie che producevano fucili e pistole. In particolare, fino alla soglia degli anni Trenta, le munizioni impiegate nei poligoni riconosciuti ufficialmente erano fornite dagli arsenali militari: a queste attività potevano prendere parte anche giovani che avessero compiuto il sedicesimo anno di età, ma per il resto l’atteggiamento dell’associazione tra le due guerre si potrebbe definire prudente.
Un cambiamento generale si ebbe dopo gli anni di dilagante criminalità provocata dal ‘proibizionismo’ (in particolare la ‘strage di San Valentino’) e dopo un fallito attentato a Roosevelt nel 1933: nel 1934 fu approvata infatti una legge federale (National Firearms Act) che, introducendo una tassa ed un obbligo di registrazione per chiunque acquistasse un’arma, di fatto ne limitava la circolazione.
Successivamente, nel 1938, un’altra legge federale impose una licenza speciale per produrre, importare o commerciare armi e anche per le persone addette alla vendita. L’associazione non si oppose, ma nel 1968, quando il presidente Lyndon Johnson propose la creazione di un registro dei possessori di armi, l’atteggiamento cambiò.

La nascita della lobby attiva

A metà degli anni Settanta il cambiamento divenne ancora più evidente: l’associazione si trasformò in un’attiva e potente lobby che, nel corso di un congresso che si svolse a Cincinnati chiamato in seguito ‘the Cincinnati revolution’, abbandonò definitivamente i vecchi principi di tutela e regolazione del mercato e il semplice appoggio alle attività sportive. Se in passato l’azione era stata bipartisan, da quella data entrarono a ricoprire incarichi esclusivamente esponenti del partito repubblicano, tra i quali alcuni non facevano mistero di simpatizzare per movimenti estremisti, razzisti o segregazionisti.
Il cambiamento fu addebitato anche allo stato d’animo diffuso per la sconfitta nella guerra del Vietnam e in particolare all’effetto depressivo provocato dalla diffusione delle immagini della ritirata da Saigon. Soprattutto però, da quel periodo, cominciò una massiccia campagna di finanziamento ad esponenti politici allo scopo di abolire eventuali limitazioni che avrebbero impedito la vendita a chiunque di qualsiasi tipo di arma, ivi comprese vere e proprie armi di impiego esclusivamente bellico che nulla avevano a che spartire con le attività sportive.
Per alcuni politici insomma, pronunciarsi pro o contro le limitazioni, era diventata soprattutto una questione di finanziamenti, fondamentali per la riuscita di una campagna elettorale.

La recente escalation

Negli ultimi anni è stato notato anche una sorta di congegno perverso che alza continuamente la tensione sulla questione della diffusione di ogni tipo di arma. Immancabilmente, dopo ogni strage provocata per l’uso di armi, la reazione dei produttori diventava sempre più parossistica. Nel 2012, nel caso della scuola elementare Sandy Hooks in Connecticut (28 vittime), il portavoce dell’associazione suggerì un piano che prevedeva l’impiego di 135.000 guardie armate per ‘proteggere’ le scuole.
Nel 2017, nel caso di Las Vegas (61 vittime), l’associazione – dopo qualche giorno di silenzio ¬– osservò che sarebbe stata sufficiente una ‘piccola modifica’ al tipo di fucile impiegato, ma senza introdurre limitazioni alla vendita.
Nel 2018, nel caso della scuola superiore Stonemann Douglas in Florida (17 vittime), l’associazione tornò a proporre la sorveglianza armata nelle scuole, sostenendo che l’ultima strage era dovuta al fatto che la proposta del 2012 non era stata accettata. E l’elenco potrebbe continuare …

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