«Spiragli di pace? No, non ne vedo». Dopo aver parlato al telefono con Vladimir Putin, il premier Mario Draghi è stato netto. Al momento, il leader del Cremlino non ha alcuna intenzione di sedersi a un tavolo di negoziato con l’Ucraina, in attesa di incassare almeno una vittoria parziale. Come sta accadendo nel Donbass. E allora, ancora altre armi, sempre più potenti ad innalzare il livello dello scontro e i rischi di guerra totale.
L’amministrazione Biden si sta preparando a inviare all’Ucraina armi più potenti nell’ambito di un nuovo pacchetto la prossima settimana. Lo riferiscono fonti dell’amministrazione alla Cnn e lo rilancia il Corriere della sera. Sistemi di missili a lungo raggio, ‘Multiple Launch Rocket System’, gli MLRS, che da tempo Zelensky sta chiedendo, su probabile suggerimento degli stessi consiglieri militari statunitensi che lo affiancano.
Le armi Usa possono sparare una raffica di razzi per centinaia di chilometri, e secondo Kiev potrebbe essere il punto di svolta nella loro guerra contro la Russia. Finora Biden aveva evitato di inviare questi sistemi per timore che l’Ucraina potesse utilizzarli per attaccare all’interno del territorio russo con la conseguenza di una reazione da parte di Mosca. Ma la stampa statunitense si sta accorgendo dei rischi connessi alle massicce forniture di armi all’Ucraina per combattere i russi e comincia a porre interrogativi sulla capacità di Washington di mantenere un efficace controllo delle armi inviate a Kiev.
Il Washington Post in particolare, con un articolo di John Hudson ha posto il problema se gli aiuti militari andranno nelle mani giuste e quanto alto sia il rischio che vengano risucchiate in un’Ucraina che è uno dei principali hub europei del traffico di armi. E questo lo segnala Analisi Difesa, per sua vocazione attenta al problema.
«Ora oltre Atlantico c’è chi teme che parte delle attrezzature donate a Kiev possa finire nelle mani degli avversari dell’Occidente o che possa riemergere in altri conflitti nei prossimi decenni» la sintesi di Gaiani.
Questo perché – dice al Washington Post William Hartung, un esperto del think tank Quincy Institute – «mentre in Afghanistan gli Stati Uniti avevano una presenza importante nel Paese che consentiva di avere almeno la possibilità di tracciare i percorsi delle armi, in Ucraina il governo statunitense è cieco in termini di monitoraggio delle armi fornite alle milizie civili e ai militari».
Nonostante questa differenza la fuga degli americani e dei loro alleati da Kabul e il successivo immediato tracollo delle forze armate governative afghane, hanno lasciato in mano ai talebani 7,12 miliardi di dollari di armi e mezzi statunitensi inclusi missili, aerei, elicotteri, veicoli, armi e munizioni, secondo un rapporto del Pentagono.
In Ucraina, secondo Rachel Stohl, vicepresidente dello Stimson Center, «è impossibile tenere traccia non solo di dove vanno tutti questi equipaggiamenti e chi li userà, ma anche come vengono usat». Il quotidiano statunitense ha poi ricordato che l’Ucraina è sempre stata, fin dalla sua indipendenza post-sovietica, il paradiso del traffico e dei trafficanti di armi grazie anche alla corruzione endemica e dilagante. Affermazioni a rischio accusa di ‘putinismo’, se non venissero dal Washington Post.
Small Arms Survey ha valutato che una parte dei 7,1 milioni di armi portatili a disposizione dell’esercito ucraino nel 1992 fu «’dirottata verso altre aree di conflitto’ sottolineando il rischio di fuoriuscite nel mercato nero locale». E la guerra civile nel Donbass aveva già dato il segnale, «quando i combattenti di entrambe le fazioni svuotarono i depositi di armi e munizioni delle istituzioni statali e regionali, senza che si sappia dove questi equipaggiamenti siano poi finiti», aggiunge il Washington Post.