
Molte volte, nel corso della storia, la guerra è stata un trucco, escogitato dal potere, per coprire altre magagne. Un azzardo che vale solo per le dittature, perché le democrazie, per fortuna, funzionano in un altro modo. Anche se ci sono situazioni nelle quali l’ambiguità regna sovrana. In strategia si chiamano “finestre di opportunità”, cioè occasioni che si presentano inaspettatamente e che vanno colte “per interesse nazionale”. Nel caso della guerra in Ucraina, le responsabilità di Putin sono solari. Ma, una volta scoppiato il conflitto, meno evidenti sembrano le propensioni americane a volerlo chiudere prima possibile. Abbiamo già sviluppato un modello interpretativo della crisi, che sposa quello di illustri analisti: da Niall Ferguson a Richard Haass, da John Marsheimer a Jeffrey Sachs.
Tuttavia, vogliamo ribadire una valutazione che ci sembra conclamata, e cioè che tra Stati Uniti ed Europa esistono differenze sostanziali, sulla visione geopolitica del pianeta. Perché? Diciamo che in alcune aree gli interessi sono diversi e in altre, addirittura, confliggono. La grande partita per il futuro dell’Ucraina (e dell’Europa) non si gioca solo a Mosca ma, principalmente, a Washington. Gli Stati Uniti sono, da un pezzo, davanti a un dilemma “esistenziale”: vogliono ancora un mondo “unipolare”, che li autorizzi a intervenire ovunque “per riportare l’ordine”? Oppure pensano di concentrarsi e di spendere risorse, in primo luogo, nel loro Paese? La prima opzione è quella dei democratici di Biden, la seconda è stata (e sarebbe) quella dei repubblicani di Trump.
A novembre si voterà per le elezioni di “Midterm” e si rinnoverà il Congresso. Se i democratici perdono (i sondaggi non sono favorevoli) Biden è fritto. Per molti motivi. Attenzione però: la guerra in Ucraina non è il leit-motiv della campagna elettorale (che già infuria). Prima vengono l’inflazione, la delinquenza dilagante, l’immigrazione clandestina e le ventilate modifiche alla legge sull’aborto. Certo, con un’inflazione all’8,3%, con i problemi di approvvigionamento della catena logistica per la produzione, con i continui crolli in Borsa (specie dei “tecnologici”) e la fibrillazione dei mercati azionari, le domande a cui dovrà rispondere Biden si moltiplicano. Un esempio?
Sembra incredibile, ma nella prima potenza economica del mondo manca il latte per i neonati. “Il Presidente degli Stati Uniti, Biden – scrive Joe Politi sul Financial Times – ha invocato i poteri dell’era della guerra di Corea per aumentare la produzione di latte artificiale, nel tentativo di alleviare le carenze che stanno diventando una responsabilità politica per la Casa Bianca e i democratici del Congresso”. Praticamente, Biden è accusato “di non essersi accorto della grave mancanza di latte per i neonati”, anche se il governo era già stato avvertito, da alcuni mesi, della possibile emergenza.
Messo con le spalle al muro dall’opposizione repubblicana, il Presidente ha invocato l’adozione del Defense Production Act, che risale alla guerra di Corea e che obbliga le aziende a produrre secondo specifiche imposte dal governo.
Per la verità, l’altra mossa di Biden, che possiamo considerare “border-line” dal punto di vista costituzionale, è stata la creazione della DGB, cioè il Disinformation Governance Board, subito soprannominato spregiativamente “Ministero della Verità”. Si è trattato di un vero e proprio infortunio per il Presidente che, malconsigliato da qualcuno, ha istituito una sorta di censura su alcuni temi “sensibili”: le “fake news” (o presunte tali) diffuse sui social o su altri mezzi di comunicazione, riguardanti la Russia, gli Stati-canaglia, i trafficanti di droga e di esseri umani e altri target, non ben definiti, ma di interesse nazionale. Si voleva fare un’operazione col silenziatore, ma è successo un pandemonio.
Il Ministro per la Home Security, Alejandro Mayorkas, ha congelato tutto, dopo essere stato torchiato dal Senato Usa. La direttrice, Nina Jankowicz, ex consulente del Ministero degli Esteri ucraino, si è dovuta dimettere a furor di popolo. In America non si scherza, e il Primo emendamento, quello sulla libertà di stampa, non si tocca. Di sicuro, a Biden avevano suggerito di fare una cosa “politically correct”. E cioè di ispirarsi a due leggi, l’Espionage Act del 1917 e il Dissent Act del 1918. Ma a quell’epoca l’America era in guerra.
O forse lo è anche oggi e noi non ce ne siamo accorti?