Sanzioni pericolose. Come la Russia cerca di scansarle, quanto l’Occidente può sostenerle

Una ‘Tempeste perfetta’ sociale, politica ed economica che incombe sul mondo ma soprattutto sull’Europa. Inflazione l’attacco in corso, recessione l’escalation. Le due assieme, ‘stagflazione’ ed è minaccia nucleare.
Qualche dato in più dal mondo a scoprire cose certo note alla grande economia e ai vertici politici (speriamo), ma su cui sembra vietato poterne discutere per non schierarsi in guerra.

‘Tempesta perfetta’

Purtroppo, sembra che, per ora, non ci sia proprio niente da fare. L’Europa è sempre più sballottata da una “tempesta perfetta”, sociale, politica ed economica, che la sta mettendo in ginocchio. Anche il resto del pianeta, in maniera incalzante, subisce i contraccolpi di una crisi che ha il suo epicentro in Ucraina.

Cioè, nel luogo in cui una guerra senza senso è venuta a completare l’opera devastante di altre emergenze: la pandemia da coronavirus, l’interruzione della catena degli approvvigionamenti produttivi, le cicliche ondate depressionarie sui sistemi economici. L’esigenza di arginare l’invasione russa, ha spinto l’Occidente a prendere una posizione chiara in difesa di Kiev. L’arma delle sanzioni economiche, però, si sta rivelando molto controversa. Sono durissime e avranno senz’altro un pesante effetto negativo sulla Russia. Ma nel lungo periodo. Certo, quest’anno il suo Pil calerà dell’8,5% e l’inflazione arriverà al 20%. Ma, invece, gli effetti “di rimbalzo” sull’Europa, possono essere contabilizzate fin da ora.

Inflazione boom

Il rialzo dei prezzi dell’energia, si scarica su tutto il paniere di beni e servizi, facendo schizzare in alto l’inflazione. Che nell’Area euro e già intorno al 7%, mentre in Gran Bretagna, inquietante notizia di ieri, ha toccato addirittura il 9%. Anche gli Stati Uniti non navigano in buone acque, con un rialzo dei prezzi intorno all’8,3%. Insomma, è proprio allarme rosso. D’altro canto, le stime sulla crescita (ma forse sarebbe meglio parlare di recessione) sono desolanti. Arranchiamo, nell’attesa di tempi migliori (o peggiori?).

Guai anche statunitensi

Negli Usa, c’è una polemica furibonda contro la Federal Reserve (che si è “dimenticata” di alzare i tassi) e contro Biden, che ha speso 5 trilioni di dollari, dopo la prima forte ondata “Covid”, “per rianimare” l’economia. La solita “ricetta” dei Democratici americani, dicono i detrattori. Spendi e spandi, tanto poi qualcuno che paga si troverà. E se non si trova, pagherà Pantalone, cioè i contribuenti. Anche la BCE, in Europa, non ha alzato i tassi, ma non lo ha fatto per disperazione, perché, economicamente parlando, siamo “mummificati”. Al Prodotto interno lordo (soprattutto a quello italiano) verrebbe una sincope. E chi dice il contrario, fa propaganda tanto al chilo.

Approvvigionamenti da Covid

Ma siccome le disgrazie non vengono mai da sole, oggi, i Paesi industrializzati del pianeta si ritrovano nuovamente questa stramaledetta “interruzione della catena logistica degli approvvigionamenti”. Che tradotto, significa, che non arrivano più sufficienti materie prime e semilavorati, ad alimentare il processo produttivo. Ana Swanson, sul New York Times, spiega che l’ondata pandemica che, in questo momento, dilaga in Cina (e che blocca interi snodi trasportistici) e la guerra in Ucraina hanno fatto precipitare la situazione. Siamo quasi tornati, daccapo, al periodo in cui c’era la “carestia dei microchip”.

La Federal Reserve di New York

La Swanson cita il report preparato dalla Federal Reserve di New York, e sostiene che è stato elaborato uno speciale indice che traccia il costo di trasporto globale, i tempi di consegna e altri fattori in sette principali economie.
“L’indice – scrive la giornalista – dimostra che le pressioni sulla catena logistica si erano allentate tra dicembre e marzo scorsi, sebbene fossero rimaste elevate come valore. Ma poi, la tendenza si è invertita, da aprile, con l’allungamento dei tempi di consegna per i prodotti in arrivo dalla Cina e per quelli destinati all’area dell’euro. Con 1’aumento dei costi per il trasporto aereo.

Guai per tutti, ma la Russia?

Ma come reagisce la Russia a questo doppio handicap, che somma sanzioni economiche e interruzione della catena degli approvvigionamenti? Tutto sommato, si difende. Secondo il Wall Street Journal, le imprese russe si stanno affrettando a trovare nuovi fornitori e a cambiare prodotti e processi per adattarsi alle sanzioni. Cercano “sponde” e triangolazioni per fare arrivare pezzi di ricambio e semilavorati, indispensabili per continuare a produrre. L’Asia centrale, in particolare il Kazakistan, è un vero mercato a cielo aperto per Mosca. Per quanto riguarda gli scambi con l’Europa, puntano molto sulle Grecia e sulla Turchia. I carichi di rifornimenti vengono trasbordati su navi turche che, attraverso il Mar Nero, giungono al porto russo di Novorossyisk, dove scaricano di tutto.

Costi-benefici

Di sicuro, però, l’economia russa è in sofferenza. Il costo dei noli, a cominciare dai container, è salito di quattro volte. Il problema è però uno ed è molto semplice: rispetto al danno che causiamo alla Russia, quello che ci auto provochiamo regge un’analisi costi-benefici?

E fino a dove è sostenibile prima che si determinino scompensi sociali, uno scenario che forse stiamo sottovalutando?

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