
Sbollito l’entusiasmo per la vittoria elettorale del 5 maggio nell’Ulster, i nazionalisti cattolici del Sinn Féin si rendono ora conto di quanto sia difficile formare un governo nell’Irlanda del Nord. Sono già al potere nella Repubblica d’Irlanda, o Eire, ma in quel contesto non devono confrontarsi con avversari temibili.
Il problema è che l’Ulster, invece, è una delle quattro componenti del Regno Unito insieme a Inghilterra, Scozia e Galles. Un Regno che, in realtà, appare sempre più disunito, e nel quale come unico e vero collante è rimasta solo l’anzianissima (96 anni) regina Elisabetta II. Una vera e propria icona, che tuttavia sembra in procinto di cedere il trono al 73enne figlio Carlo, principe di Galles.
Quello irlandese è un problema antico. L’Eire conquistò l’indipendenza nel 1922, con lo status di “Dominion” dell’Impero britannico. Soltanto nel 1949 si costituì in Repubblica, rescindendo così anche gli ultimi legami formali con Londra.
La Repubblica d’Irlanda è sempre stata caratterizzata dalla presenza di una schiacciante maggioranza cattolica, il che l’ha resa per molto tempo uno degli Stati più confessionali d’Europa.
Non venne però risolto il problema delle contee protestanti del Nord, che formano per l’appunto l’Ulster. Pur appartenendo geograficamente all’Irlanda, in tali contee la maggioranza degli abitanti era formata da protestanti leali a Londra, che hanno sempre rifiutato l’unione con la cattolica Eire.
Tuttavia un tasso più alto di natalità ha consentito ai cattolici nord irlandesi di non essere più minoranza, tant’è vero che il loro partito Sinn Féin ha vinto le ultime elezioni conquistando 27 seggi a fronte dei 24 ottenuti dai protestanti lealisti del DUP (Democratic Unionist Party). E una maggioranza così risicata complica parecchio la formazione di un governo.
Il vero problema, però, risale alla Brexit. Quando il Regno Unito si staccò dall’Unione Europea, Londra e Bruxelles firmarono il “Protocollo sull’Irlanda del Nord”, che regola le questioni doganali e di immigrazione al confine tra Eire (che fa parte della UE) e Ulster che non ne fa parte essendo una regione del Regno Unito.
I problemi che rendono difficile la formazione di un governo dipendono più da questo fatto che dalla tradizionale inimicizia tra cattolici e protestanti. Secondo gli unionisti il suddetto Protocollo va cambiato, poiché il confine fisico tra Eire e Ulster impone controlli doganali sulle merci che provengono dalla Gran Bretagna, causando gravi danni all’economia dell’Irlanda del Nord.
Più che a una guerra civile come quella dei decenni passati, assistiamo insomma a una guerra economica e commerciale. Non è per nulla chiaro come il Protocollo possa essere modificato, visti anche i rapporti non certo buoni tra Londra e Bruxelles.
Il premier Boris Johnson considera il Regno Unito una grande potenza, anche dal punto di vista militare, e sembra più interessato alla guerra in Ucraina (su posizioni fortemente anti-russe) che ai problemi dell’Ulster. Atteggiamento che a Belfast viene criticato tanto dai protestanti quanto dai cattolici.
Esiste in effetti il pericolo di una guerra commerciale tra Regno Unito e UE. Johnson finora non si è mosso con efficacia a causa del coinvolgimento in Ucraina e di alcuni comportamenti personali assai criticati anche nel Parlamento britannico.
E’ chiaro, in ogni caso, che il problema nordirlandese mette ancor più in difficoltà il Regno, dove anche il partito indipendentista scozzese è molto forte e minaccia da tempo un referendum per promuovere il distacco da Londra.