
E’ tuttora aperto il dibattito sulla reale utilità delle sanzioni inflitte alla Federazione Russa dopo l’invasione dell’Ucraina. All’inizio molti erano ottimisti, prevedendo un rapido crollo dell’economia di Mosca in tempi abbastanza brevi.
Non è andata così, ed è quindi lecito interrogarsi sull’efficacia della politica sanzionatoria, usata a piene mani dagli Stati Uniti, soprattutto ai tempi di Donald Trump (ma non solo).
Di tratta, in effetti, di uno strumento di politica estera che i Paesi occidentali hanno adottato molto spesso e che, a quanto pare, non ha mai dato i frutti sperati.
Nel caso della Russia le cose sono ancora più complicate a causa della forte dipendenza di molti dei succitati Paesi dalle forniture energetiche russe, che per alcune nazioni – come Germania e Italia – sono essenziali tanto per i consumi domestici quanto per il funzionamento dei loro apparati industriali.
Eppure Washington e Bruxelles continuano senza sosta a varare nuovi pacchetti di misure. Anche se, almeno per ora, esse non hanno toccato settori cruciali quali gas e petrolio.
Gli ottimisti ritengono che le importazioni russe, qualora sottoposte a embargo totale, possano facilmente essere sostituite andando a cercare nuove fonti in Africa, oppure ricorrendo al Gas Naturale Liquefatto (GNL) promesso dagli Usa.
Con alcuni problemi non certo secondari. Il GNL americano è molto più costoso del gas russo. Presuppone inoltre la presenza di “rigassificatori”, vale a dire impianti in grado di ritrasformare il gas liquido in quello normale adatto al consumo.
E in Europa c’è carenza di tali strutture. L’Italia, per esempio, ne ha attualmente solo tre, numero non sufficiente a parare i colpi dell’eventuale embargo. Difficoltà, inoltre, si riscontrano in quei Paesi come Congo ed Algeria che il nostro governo ha interpellato per verificare la loro disponibilità a rifornirci.
La situazione, insomma, è tutt’altro che rosea. Anche perché è ormai appurato che le sanzioni non sono in grado di far indietreggiare Putin, né ad abbreviare la guerra (altro obiettivo primario degli ottimisti).
Inducono ad essere dubbiosi anche i numerosi precedenti storici. A partire da Cuba e passando per Iraq, Corea del Nord e Venezuela, nessun Paese colpito da sanzioni internazionali è stato realmente messo al tappeto, e tutti hanno trovato il modo di aggirarle.
Altra questione cruciale è la seguente. Le sanzioni, così congegnate, rischiano di danneggiare più i sanzionatori dei sanzionati, fattore accampato dalla Germania per frenare l’embargo. Economie già deboli a causa della pandemia di Covid 19, vedrebbero crollare il proprio Pil in modo drastico.
Al contempo la Federazione Russa non ha mostrato gravi segni di cedimento a causa delle sanzioni, ed è persino riuscita a farsi pagare gas e petrolio in rubli sfidando il veto della debole Commissione europea.
Sarebbe il caso di ragionare a mente fredda, senza accusare di filo-putinismo coloro che si preoccupano delle conseguenze, soprattutto future, dell’embargo. Conseguenze che potrebbero causare danni anche alla stabilità sociale e politica di molte (per non dire tutte) nazioni europee.