Finlandia e Russia prima della Nato. La ‘Guerra d’Inverno’

La ‘guerra d’inverno’, combattuta tra il 30 novembre 1939 e il 12 marzo 1940 dalla Finlandia e dall’Unione Sovietica. Finì con la firma di un accordo di pace in cui la Finlandia cedette all’Unione Sovietica circa il 10% del proprio territorio, tra cui gran parte della Carelia, alcune isole nel golfo di Finlandia e, all’estremo nord, la propria porzione della penisola di Rybačij.
«Tutti noi – e Stalin prima e più di ogni altro – avevamo la sensazione che la nostra vittoria sulla Finlandia fosse in realtà una sconfitta. Era una sconfitta pericolosa perché confermava nei nostri nemici la convinzione che l’Unione Sovietica fosse un colosso coi piedi d’argilla», dalle Memorie di Nikita S. Kruscev.

Soldati dell’Armata Rossa

Le trattative e la guerra

Nonostante il patto di ‘non aggressione’ sottoscritto con la Germania nazista e dopo la spartizione della Polonia, nell’autunno del 1939 l’Unione Sovietica continuava a sentirsi minacciata. In particolare pericolo, secondo Stalin, era soprattutto la città di Leningrado, a pochi chilometri dal confine con la Finlandia e di conseguenza possibile obiettivo delle artiglierie nemiche. «Noi non possiamo spostare la nostra città, – sembra abbia detto con molta franchezza Stalin aprendo il primo incontro – ma voi potete spostare i vostri confini». Furono avviati così dei negoziati con la Finlandia offrendo anche apprezzabili compensazioni territoriali, ovvero la cessione di parti di territorio russo lungo il confine più a nord, ma la risposta fu negativa. Sorpresi dalla fermezza dell’atteggiamento finlandese, i sovietici optarono allora per l’uso della forza, nella convinzione che sarebbe bastato aprire il fuoco per convincere i recalcitranti finnici a ritirarsi di poche decine di chilometri dalla costa che si affacciava sul golfo di Finlandia, ma non andò così e il 30 novembre 1939 cominciarono le ostilità che si sarebbero protratte con accanimento da ambo le parti fino alla metà di marzo del 1940.

La prima fase delle operazioni

I sovietici attaccarono in grande stile da tre direzioni: dall’estremo nord, cioè nell’Artico e in Lapponia, dal lago Ladoga e dall’istmo di Carelia. Per volere – sembra – dello stesso Stalin, il comando delle truppe sul campo non dipendeva però dallo stato maggiore, come sarebbe stato normale, ma direttamente dal Cremlino e quindi da Stalin in persona. Sin dall’inizio tuttavia i risultati furono decisamente mediocri o peggio. Un piccolo esercito in mezzo alla neve e ai rigori del clima invernale tenne testa all’Armata rossa, nonostante la sproporzione di uomini e mezzi: in alcuni punti infatti si arrivò anche a sei a uno. Nel frattempo inoltre la resistenza del popolo finlandese aveva ottenuto attenzione internazionale e simpatia: oltre alle munizioni e ai rifornimenti militari necessari, giunsero da tutto il mondo sostegni sanitari e anche volontari soprattutto dalla Norvegia e dalla Svezia. Ciò che sorprese i sovietici fu soprattutto la mobilità sul terreno e la capacità di colpire inattesi: i finlandesi infatti impiegavano unità sugli sci, ben mimetizzate e capaci di muoversi velocemente.

Una cena movimentata

La risposta sovietica fu allora il reclutamento di atleti che praticavano lo sci tratti soprattutto da gruppi sportivi civili: fu un sostanziale fallimento e un’ecatombe, perché nonostante la preparazione atletica era invece del tutto assente quella militare. Stalin nel frattempo era furibondo con i suoi generali e soprattutto con Voroscilov, che per anni era stato commissario del popolo per le forze armate, sebbene quest’ultimo non fosse il principale responsabile: del resto il mito di Voroscilov era stato costruito in realtà dallo stesso Stalin, dopo le epurazioni dei generali. Secondo una testimonianza di Kruscev, nel corso di una cena nella dacia di Stalin, il padrone di casa accusò pesantemente Voroscilov alzando la voce. La risposta, altrettanto concitata, fu: «Sei stato ad annientare la vecchia guardia dell’esercito, e a fare ammazzare i tuoi migliori generali!» e a quel punto il maresciallo dell’Unione Sovietica si alzò, rovesciò piatti e bicchieri e uscì sbattendo la porta davanti a uno Stalin esterrefatto. Naturalmente fu rimosso dal comando e sostituito con Timoscenko, ma schivò una sorte peggiore.

L’ultimo attacco

Il nuovo comandante Timoscenko, dopo che l’arte militare dei suoi colleghi non era riuscita ad avere il sopravvento, optò per una strategia meno raffinata, ma più efficace: attaccò frontalmente la linea difensiva finlandese sull’istmo di Carelia con tutta l’artiglieria disponibile distruggendo – o meglio ‘sgretolando’ – una ad una le postazioni in cemento e i singoli capisaldi. L’operazione finale fu condotta dalla metà di febbraio ai primi di marzo e il 7 i finlandesi chiesero di aprire delle trattative. Il 12 marzo 1940 fu firmato il trattato di Mosca: la Finlandia dovette cedere la parte sud-orientale della Carelia, praticamente tutto il distretto di Viipuri, e altre zone più a nord corrispondenti a circa seicentocinquantamila chilometri quadrati. I nuovi confini corrispondevano grossomodo a quelli dei tempi di Pietro il Grande, ma il bilancio delle perdite sovietiche fu impressionante: tra morti e dispersi oltre centoventicinquemila russi. Venticinquemila le perdita finlandesi, pesanti per un piccolo paese, anche se molto inferiori alle perdite russe.

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