“Il dado è tratto”, disse Cesare varcando il Rubicone e infrangendo una secolare (e sacra) legge romana. E fu guerra civile. Oggi, il Rubicone lo passano gli Stati Uniti, tirandosi appresso i sempre più confusi alleati della Nato: prima la Finlandia e poi la Svezia verso l’Alleanza atlantica, Turchia permettendo, facendo comunque salire alle stelle la tensione con la Russia. Capiamoci. Pure le pietre sanno che Putin ha torto marcio e che dev’essere “contenuto”. Ma, a questo punto, il problema più scottante (e reale) è un altro: esiste il pericolo di una escalation verso un conflitto nucleare? Questa è la priorità assoluta, che bisogna affrontare e scongiurare. E chiunque non si ponga in quest’ottica è un nemico dell’umanità.
Se Putin ha fatto carne di porco del diritto internazionale, mettendo l’Europa con le spalle al muro, bisogna, però, dire che anche l’Occidente, sta dimostrando di essere orba di una classe dirigente all’altezza della situazione. In pochissimi sanno guardare più lontano del loro naso e, specie in America, infoiati dal dio della guerra, pensano di poter dare una “lezione” all’autocrate del Cremlino. Quei signori, però, se sono in buona fede, quantomeno confondono tattica e strategia. Insomma, la “difesa della democrazia”, il sostegno (doveroso) all’Ucraina aggredita, la lotta per la tutela dei diritti umani, sono solo una parte del discorso. Nella guerra europea sono entrati in campo molti altri fattori, che hanno complicato maledettamente tutti gli scenari.
E’ il parere, ad esempio, di illustri analisti, come Niall Ferguson, Richard Haass e Jeffrey Sachs, che mettono in guardia dal sottovalutare pericolose derive bellicistiche, per la colpevole rinuncia a un serio confronto diplomatico.
Recentemente, Ferguson (Harvard University) ha detto, in un articolo apparso su “Bloomberg”, che “Biden sta commettendo un errore colossale, pensando di poter dissanguare la Russia, rovesciare Putin e segnalare alla Cina di tenere le mani lontane da Taiwan”. Secondo Ferguson, c’è il chiaro disegno americano di far logorare Putin in Ucraina. E cita l’articolo di David Sanger, apparso sul New York Times, nel quale si parla di fonti dell’Amministrazione, che avrebbero delineato uno scenario in cui le truppe russe restano praticamente impantanate.
“La diplomazia tra Russia e Occidente è ancora possibile”, è invece l’articolo (che a noi sembra, per la verità, più un accorato appello) di Richard Haass, uno dei più insigni specialisti americani di politica estera. Haass è il Direttore del “Council on Foreign Relations” ed ex Direttore per la Pianificazione politica del Dipartimento di Stato. Come fronteggiare la Russia? Secondo Haass, Stati Uniti e alleati “dovranno limitare i loro obiettivi in Ucraina”. Niente giochi “a somma zero”, insomma, perché chi perde si vuole sempre rifare. Una posizione che richiama un poco quella assunta dal francese Macron, sulla necessità “di non umiliare la Russia”.
“Questo significa rinunciare a parlare di cambio di regime a Mosca – prosegue Haass in un articolo su “Project Syndicate” – perché dobbiamo occuparci della Russia che abbiamo, non di quella che preferiremmo avere. L’Occidente non è in grado di progettare la rimozione di Putin e tantomeno pensare a qualcuno che lo sostituisca meglio”. Il politologo reputa anche “sbagliato” essersi vantati di aver aiutato gli ucraini a uccidere i generali russi e di avere contribuito ad affondare le navi di Putin nel Mar Nero. Inoltre, dovrebbe essere chiarito che, contrariamente a quanto sostenuto dal capo del Pentagono, Lloyd Austin, gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di indebolire la Russia. Al contrario, Washington dovrebbe sottolineare che vorrebbe che la guerra finisse prima possibile.
Anche se Haass deve ammettere che, vista la situazione (e le teste in campo) è probabile che il conflitto in Ucraina sarà lungo e lacerante.
“Porre fine alla guerra di logoramento” è invece il mantra di Jeffrey Sachs, una specie di “monumento” della Columbia University e, probabilmente, il più illustre studioso di “transizione”, dalle economie pianificate al mercato. Sachs è anche esperto di sviluppo sostenibile e adviser delle Nazioni Unite. Bene, cristallina la sua disamina della crisi . “Tutti pensano di vincere – dice lo studioso – ma ognuno finirà per perdere. Le trattative si stavano concretizzando, quando è arrivata la strage di Bucha. Quello ha cambiato tutto”. Ma abbandonare la diplomazia è una mossa perdente, sostiene Sachs, perché Ucraina e Occidente non devono fare lo stesso errore dei russi: cioè, sopravvalutare la propria forza. La guerra di logoramento che stanno affrontando, avrà conseguenze pesanti.
Le sanzioni economiche non funzionano come dovrebbero e colpiscono anche “di ritorno”. Quest’anno il Pil della Russia calerà “solo” dell’8,5 percento. È assai, ma non tanto da mettere in crisi il regime. In crisi, invece, potranno andare diverse economie europee e quella degli Stati Uniti, che già ora è rosa dall’inflazione. In questo modo, Biden perderà le elezioni di Medio termine, con tutte le conseguenze politiche del caso. E infine l’avvertimento più terribile. “Se le forze convenzionali russe dovessero effettivamente essere spinte verso la sconfitta, come stanno cercando di fare gli Stati Uniti, Mosca potrebbe benissimo difendersi cominciando a utilizzare armi nucleari tattiche”. Da lì l’escalation, verso una guerra atomica che coinvolga tutto il pianeta, sarebbe il passo successivo.
Se qualcuno, a Washington, pensa di utilizzare solo l’Europa, come campo di battaglia per un conflitto nucleare, ha sbagliato i suoi conti.