
A Pechino guardano lontano e hanno saputo mettere assieme una “pianificazione” riveduta e corretta, e un “capitalismo di Stato”, dove le regole vengono fatte rispettare anche con durezza. Il risultato? Pochissima libertà, niente democrazia e incrementi del Pil da far paura. Ma, soprattutto, i cinesi hanno sviluppato una straordinaria capacità di esportare e di vendere, dalle padelle ai computer, mandando in profondo rosso la bilancia commerciale degli Stati Uniti, ad esempio. Insomma, possiamo dire tutto il male che vogliamo sul rispetto che a Pechino hanno dei diritti umani, ma se si tratta di “visioni strategiche” dell’economia, allora togliamoci il cappello. Oggi, parliamo di un minerale che si stanno accaparrando, prima che gli altri, tutti presi dalle guerre e dall’insaziabile foia di controllare il pianeta, si accorgano che vale quanto l’oro: il litio.
Con questo metallo si fanno gli accumulatori o, per dirla più concretamente, le batterie elettriche delle autovetture “del futuro”. Senza litio parlare di rivoluzione “verde” è come discutere di fare il vino senza l’uva. Eppure è così che, per ora, funziona in Occidente. Sembra incredibile, ma tutti i paludati “tromboni” che riempiono i governi europei (per non parlare della Commissione di Bruxelles), sono rivolti verso altre “incombenze”. Ricordate la storia dei microchip? Parlarne, a un certo punto, a molti burocrati pareva una perdita di tempo, un argomento per teenager sfaccendati. Poi si sono bloccate le catene di montaggio e apriti cielo. Ora, anche i più scalcagnati tra i politicanti vi sanno dire qualcosa sull’inflazione che deriva “dalla interruzione della catena logistica degli approvvigionamenti”. Suona pure bene e fa tanto fino, anche se dalle nostre parti si fatica a trovare qualcuno che si preoccupi dei rifornimenti di litio.
Sebbene per la tanto decantata “transizione energetica”, prevista dal PNRR, sia indispensabile come l’acqua per i pesci.
Negli Stati Uniti, però, dove il “verde”, oltre a essere il simbolo dell’ambientalismo è anche il colore dei dollari, qualcosa si muove. Finalmente hanno capito che la Cina ha preso, da lunga pezza, il monopolio della raffinazione del litio. Prende il minerale grezzo dai più grandi produttori mondiali (Australia, Cile e lei stessa), lo processa e poi lo rivende al resto del pianeta. Secondo il Financial Times, gli Stati Uniti sono alla canna del gas e producono solo l’1% del litio di cui hanno bisogno.
E sapete perché? Perché, per raffinarlo, si inquina maledettamente il terreno dove sorgono gli impianti e il bacino imbrifero che lo serve, dato che c’è bisogno di tanta acqua. Così, sembra una barzelletta, ma il risultato finale di una delle scelte più “green” è un inquinamento, in stile “Manchester 1840”. E non è finita. Il problema dei problemi è, poi, lo smaltimento delle batterie al litio esaurite. Perché dovete sapere che il litio è una “sostanza-carogna”, che per essere eliminata ha bisogno di un processo lungo e, soprattutto, costosissimo. Beh, direte voi, ma allora i cinesi come fanno ad avere il monopolio del litio? Sono una dittatura e, appunto, non si preoccupano del resto di niente. E il primo che parla di “disastri ambientali”, parte per una più che assicurata “rieducazione”.
Se le cose stanno così e Putin adesso “ci ricatta” con gas e petrolio, non occorre essere politologi per capire che domani la Cina potrebbe “ricattarci” con il litio. In una democrazia, promuovere produzioni che inquinano aree limitate, ma i cui benefici si spalmano su tutta la collettività nazionale, non è facile. Ne sa qualcosa Biden, che sta cercando disperatamente di fare aumentare la produzione di litio negli Usa. Ma un ricco giacimento, nella Carolina del Nord, è bloccato da diversi anni, per l’opposizione della comunità locale.
L’effetto “Nimby” (“Not in my backyard”) è sempre forte, insomma, specie nelle zone rurali. Ma il problema della disponibilità di litio è cruciale per gli Stati Uniti. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, nel giro di 18 anni avremo bisogno una quantità di litio 40 volte superiore a quella attuale, se vorremo rispettare gli accordi di Parigi sul clima. Biden ha riesumato il “Defense Production Act” della guerra di Corea, per liberare risorse da destinare all’estrazione di litio, cobalto, nichel, grafite e manganese. Tutti minerali indispensabili per realizzare la tecnologia delle rinnovabili.
Ma la loro estrazione e la successiva raffinazione provocano “danni collaterali”.. Così, arriviamo al paradosso che, per produrre energia pulita, dobbiamo utilizzare sostanze inquinanti.