
Le proiezioni danno il 35% ai laburisti, i conservatori si fermano al 30% e i liberali salgono al 19%.
«Lo si è capito subito, a Wandsworth, municipio londinese a sud del Tamigi, che la lunga notte elettorale, tra giovedì e venerdì, avrebbe segnato una svolta – l’incipit di Angela Napoletano su Avvenire- La vista all’ingresso della Civic Suite, l’ala del palazzo di città allestita per lo spoglio delle schede con cui gli elettori hanno rinnovato il consiglio comunale, è stata una distesa di coccarde rosse appuntate sulle giacche dei laburisti ammessi a monitorare la conta dei voti. Quelle blu dei Tory si notavano poco».
Feudo della premier conservatrice Margareth Thatcher da 44 anni caduto nella mani della sinistra per colpa di Boris Johnson. «Un travaso di voti da parte di elettori conservatori, scontenti delle plurime porcherie dell’attuale leadership Johnson», scrive più impietoso Leonardo Clausi sul Manifesto.
«I laburisti sono riusciti a mettere le mani su quelli che vengono definiti i comuni “gioiello” della tradizione Tory. Come Barnet, a nord, e Westminster che dal 1964, anno in cui è stato istituito, non ha mai, mai, avuto una maggioranza laburista», ancora la voce femminile.
Il premier Boris Johnson, additato da militanti e candidati come causa della crisi, legata a doppio filo, in particolare, al “Partygate”, non prova neppure a negare. «È stata una nottata difficile», ha commentato, «penso di aver capito la lezione». Ma, ha aggiunto, «dobbiamo andare avanti». Lui ci spera ma molti dei suoi stessi compagni di partito pensano che ormai sia necessario un cambio di leader e di politica.
Il numero dei seggi che i conservatori avevano perso fino a ieri sera era 340, che è già una bella botta, destinata quasi certamente ad ampliarsi. Gli osservatori tuttavia sottolineano come i laburisti non sono riusciti a capitalizzare il vantaggio di questo calo. «Certo, hanno portato nei comuni 209 nuovi consiglieri ma, fatta eccezione per Londra, le loro prestazioni non sono state brillanti», per Angela Napoletano.
Molto severo Clausi sul mancato pieno successo dei laburisti: «la triste risacca destrorsa starmeriana (il neo leader laburista) non sembra nemmeno riuscita ad agganciare lo scontento – ormai diffuso – per il sudiciume morale targato Boris».
Si distingue, invece, la performance dei Liberal Democratici che hanno fatto incetta di rappresentati locali eleggendone 165 in più rispetto alla precedente tornata. Bene anche i Verdi. La Bbc ha stimato che queste proporzioni, proiettate a livello nazionale in voto politico, porterebbero i Labour al 35%, i Conservatori al 30% e i Lib Dem al 19%. «Quadro molto diverso rispetto a quello delineato alle elezioni che, nel 2019, videro trionfare “re Johnson”».
Ancora due voci. Prima le signore. «Il voto di giovedì racconta, in sintesi, la crisi dei due più grandi partiti del Paese. Il “fattore Boris”, che ha inciso sullo sfaldamento dell’elettorato Tory, fa in paio con la debolissima leadership del laburista di Keir Starmer, protagonista di uno scandalo simile a quello del Partygate…».
Clausi urticante. «Entrambi insufficienti […] la brutale svolta a destra dell’avvocato moderato Starmer», […], uno che ha avviato una pulizia ideologica nel partito per disinfestarlo dal pericoloso «La seconda a liberare l’umanità, britannica e non, dalla trombonesca vuotezza delle gag johnsoniane, talmente fruste da risultare ormai avvilenti a molti dei suoi stessi sostenitori».
A completare lo scenario è la svolta registrata in Irlanda del Nord dove si è votato per il rinnovo del Parlamento a Belfast. Per la prima volta in generazioni il partito più votato è stato, come previsto, quello dei nazionalisti di Sinn Féin, ex braccio politico dell’Ira, che si sono aggiudicati il 29% dei consensi. Gli unionisti del Dup, roccaforte dell’orgoglio britannico e protestante nella regione, si sono fermati al 21,3%. Stando agli accordi di pace del Venerdì Santo che nel 1998 posero fine al conflitto tra protestanti e cattolici, britannici e irlandesi, il primo partito del Paese è chiamato a governare solo se il secondo accetta di farne da spalla.
Il Dup, in polemica con Londra per gli effetti causati dalla Brexit, potrebbe non accettare la co-gestione. Il futuro è tutto da scrivere. E non è rassicurante.