
Grande tornata elettorale nel Regno Unito: si vota per le amministrative in 200 enti locali di Scozia, Galles e Londra e in gran parte del resto del paese. Elezioni soprattutto “metropolitane”. Il confronto chiave sarà a Londra, guidata da un sindaco laburista, Sadiq Khan, dal 2016. Il partito controlla già 21 dei 32 council, i loro quartieri, mentre i conservatori ne difendono soltanto 7. «Il Labour cercherà di rafforzare il proprio controllo della capitale conquistando roccaforti Tory come Barnet e Westminster. A loro volta, i conservatori proveranno a strappare ai laburisti Croydon e Harrow», precisa Leonardo Clausi sul Manifesto.
«Soprattutto in Inghilterra, queste elezioni sono una sorta di referendum sull’ulteriore tollerabilità di un governo a guida Boris Johnson, con il premier che barcolla da una crisi all’altra al punto da essersi fatto superare nei sondaggi dal neo-New Labour sdoganato da Keir Starmer».
A cinque anni dalle ultime elezioni amministrative, nel 2017, gli scenari nel Regno Unito sono radicalmente mutati. Allora il paese era ancora nell’Unione europea, il primo ministro era Theresa May e il Labour era guidato da Jeremy Corbyn. «Messi da parte la troppo filoeuropea May e il virulento antisemita Corbyn, a guidare (in retromarcia) il paese in questi tempi di pestilenza e guerra è rimasto questo Johnson, l’unico primo ministro europeo capace di incarnare la trinità collodiana di gatto, volpe e burattino».
«Bravissimo a vincere le elezioni ma incapace di governare» è il ritornello che lo perseguita. E già dalla fine delle negoziazioni Brexit, Johnson sembrava avviato verso un declino accelerato «per via delle arcinote, innumerevoli marachelle: le sue – il partygate, le multe della polizia per le feste pandemiche – e quelle consustanziali all’accozzaglia di destra di cui è araldo: sessismi a go-go, appalti per gli amici degli amici, ecc».
La ‘working class del nord’. «Difficile che i Tory mantengano la fiducia presso comunità dove le pinocchiate di Johnson incontrano i severi sguardi puritani del Nord, a prescindere da quante volte si faccia paracadutare a Kiev». Anche e soprattutto per questo, secondo un sondaggio, i conservatori sarebbero sulla buona strada per perdere quasi 550 seggi nella peggiore performance da quando Tony Blair guidava al galoppo i laburisti nei formidabili anni ’90 (quando la City sprintava tachicardica a coca e champagne)».
«Se “Boris” non è ancora stato defenestrato, è per via dello schianto in gradimento dell’ex premier in pectore Rishi Sunak, travolto dall’oscena ricchezza esentasse della moglie e dalla propria».
In Galles e Scozia, bastonate
Nel Galles dominato ininterrottamente dai laburisti da un secolo non si aspettano sorprese che arriveranno invece in Scozia, dove si vota col proporzionale, e dove, secondo i sondaggi, ai conservatori di Boris è annunciata una mazzata che li ridurrebbe a terzo partito dietro Labour e naturalmente, agli indipendentisti scozzesi.
Ma i veri guai per Johnson sono nordirlandesi, per quell’accordo sulla Brexit che crea un confine attraverso il Mare d’Irlanda. Secondo i sondaggi, per la prima volta dalla spartizione nel 1922, un partito unionista non sarà più alla guida di un assetto costituzionale pensato apposta per dargli la maggioranza. Non oltre il 20%, il Dup è dietro lo Sinn Féin, al 26-27%. I nazionalisti nordirlandesi potrebbero rivendicare la carica di primo ministro, lasciando quella di vice al Dup.
«Dopo la sutura frettolosa del pastrocchio Brexit, il bubbone nordirlandese è prevedibilmente cresciuto, ed è lecito temerne una non troppo remota esplosione. L’ultima, solo in ordine di tempo».