Guerre: prima le armi e dopo la fame a colpire anche il resto del mondo

Guerre e mercati internazionali. Le due guerre mondiali. Qualsiasi guerra rappresenta sempre un evento distruttivo le cui conseguenze non colpiscono esclusivamente i belligeranti, ma inevitabilmente si estendono ad altri, nonostante la neutralità o la non belligeranza. L’interruzione dei normali flussi economici o commerciali o anche il semplice rallentamento finiscono sempre per provocare un ‘effetto domino’ difficile da controllare.

Le politiche di neutralità durante la prima Guerra mondiale

Allo scoppio della prima Guerra mondiale nell’agosto 1914 numerosi paesi europei (tra i quali l’Olanda, la Danimarca, la Spagna e anche l’Italia) rimasero neutrali, ovvero non si schierarono né con gli imperi centrali (Germania, Austria e Turchia), né con le potenze dell’Intesa (Francia, Inghilterra e Russia). I motivi furono diversi, ma la neutralità da sola non risparmiò altre difficoltà di varia natura, a cominciare da quelle economiche o quelle legate alla piena sovranità in quanto in alcuni casi piccoli paesi si trovarono quasi schiacciati di fronte a pesanti pressioni da parte di grandi potenze.
La Spagna, che proclamò subito la propria neutralità, già alla metà del 1915 presentava una situazione complessa: in alcuni settori la produzione era salita vertiginosamente, mentre in altri si era verificato l’opposto, causando disoccupazione e accentuando le differenze. Ciò significò da una parte il decollo industriale di un paese in ritardo rispetto il resto d’Europa, ma la stagione favorevole fu breve: già alla fine del 1917 le esportazioni diminuirono perché i paesi belligeranti importatori avevano adeguato le loro industrie diventando autosufficienti. Altro aspetto fu significativo fu quello legato allo spionaggio e al controspionaggio: perfino Mata Hari transitò per la Spagna – ormai diventata un nido di spie – alla ricerca di informazioni.

Olanda e Danimarca

Affacciate entrambe sul mare del Nord, teatro della guerra navale tra inglesi e tedeschi, Olanda e Danimarca subirono vari contraccolpi, a cominciare dalle rigide limitazioni all’attività dei pescherecci, ossia la capacità di sostentamento della popolazione civile. In Olanda, dove esistevano saldi legami con le industrie tedesche già prima della guerra, il paese divenne una tappa importante per l’afflusso di materie prime dirette in Germania; mano a mano che gli inglesi strinsero però il blocco navale intorno all’Europa, non solo si ridussero i rapporti con la Germania, ma la stessa Olanda – pur disponendo di una flotta mercantile numerosa e di possedimenti coloniali dove reperire risorse – subì limitazioni sulle circolazioni delle merci diventando una sorta economia autarchica.
Nel 1918, alla fine della guerra, la produzione calò drasticamente del venti per cento aprendo una stagione di conflitti sociali. Leggermente diverso nei confronti della Danimarca fu l’atteggiamento inglese: per evitare che il paese si alleasse con la Germania (dove tra l’altro viveva una minoranza linguistica danese) l’Inghilterra continuò a fornire carbone, combustibile essenziale per le industrie danesi, anche se lo fece con il contagocce, sapendo bene quanta produzione agricola danese fosse acquistata dalla Germania e quanto fosse necessaria.

Il paese neutrale più famoso

La neutralità della Svizzera nella Seconda guerra mondiale costituisce una caso particolare, conosciuto e studiato, ma altrettanto controverso. Di fatto dal 1940, quando cioè i tedeschi occuparono anche la Francia, la Svizzera si trovò completamente circondata dai paesi dell’Asse perché anche l’Italia di Mussolini al confine sud era alleata alla Germania. L’economia andò letteralmente a pezzi per l’interruzione dei commerci e degli spostamenti e a questo si aggiunse una pesante pressione tedesca per piegare la Confederazione. Per la sicurezza del paese era stato mobilitato l’esercito, ma questo aveva sottratto dall’industria e dall’agricoltura praticamente tutta la forza lavoro; solo una rigorosa e meticolosa organizzazione dell’agricoltura salvò il paese dalla fame. A complicare le cose erano attive sul suolo elvetico un’organizzazione politica che simpatizzava apertamente per il nazismo e un’altra organizzazione segreta pronta ad appoggiare la Wehrmacht in caso di attacco. Indubbiamente, se da una parte è giusto muovere dei rilievi alla politica svizzera di accoglimento dei rifugiati – che non sempre fu generosa –, dall’altra senza per questo giustificarla.

Casi fortunati (o meno sfortunati)

Già durante la Prima guerra mondiale alcuni paesi del Sudamerica ottennero invece apprezzabili ricavi dai commerci con l’Europa occidentale. Il Cile soprattutto mediante l’esportazione di nitrati destinati sia alla produzione di esplosivi, ma anche di concimi chimici fondamentali in agricoltura e altrettanto avvenne con il rame. Non mancarono ricavi significativi anche nel mercato del caffè che proveniva quasi totalmente dal Sudamerica. Inoltre, dal 1917, dopo l’ingresso in guerra degli Stati Uniti cominciarono ad affluire prodotti industriali anche da quel paese.
Sempre a proposito di Stati Uniti, la produzione industriale americana tornò pienamente a regime dopo la grande crisi del 1929 solo negli anni della Seconda guerra. Dai paesi sudamericani giunsero in Europa anche derrate alimentari, come nel caso dell’Argentina, che assisté a una crescita mai vista. Alla fine del conflitto però, nonostante gli importanti guadagni e lo sviluppo industriale, molti paesi persero i mercati europei e piombarono nuovamente nelle crisi economiche che avevano segnato la loro storia.

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