
“Immorale e poco saggia”. È lapidario il giudizio di “Haaretz”, uno dei più autorevoli quotidiani israeliani, sulla posizione assunta dal governo di Gerusalemme nei confronti della Russia. Dopo la sanguinosa invasione dell’Ucraina, ordinata da Putin, infatti, Israele ha fatto il minimo indispensabile per sostenere gli alleati occidentali. A parte le risoluzioni di condanna, votate all’Onu, la coalizione Bennett-Lapid-Gantz si è guardata bene dal fornire le armi che Kiev chiedeva. Ora, in un articolo-accusa dai toni molto pesanti, Alon Pinkas, analista geopolitico di “Haaretz”, sottolinea, smontandole a una a una, le ragioni che hanno spinto il suo governo a “tradire” le aspettative di Washington.
Innanzitutto tutto, Pinkas dà una notizia che non farà piacere a Benny Gantz, perché lo espone a una figuraccia. Il Ministro della Difesa era stato invitato a Ramstein, alla conferenza “allargata” della Nato (erano presenti 44 Paesi) convocata per coordinare il piano di aiuti militari e logistici all’Ucraina. Bene, Gantz non ci è andato, giustificandosi con gli impegni presi per la concomitanza della Giornata dell’Olocausto. Naturalmente, scrive “Haaretz”, non è così. Il Ministro ha trovato una scusa e per non indispettire nessuno, pilatescamente, ha spedito in Germania un funzionario di secondo livello. Per la serie, quando la pezza è peggio del buco.
In effetti, il caso-Ucraina per Israele è una vera e propria patata bollente, con la quale, politicamente, tutti rischiano di ustionarsi. Indipendentemente dal colore politico. È la lotta, vecchia quanto l’uomo, tra etica e “realpolitik”, che sta angosciando i piani alti dell’establishment israeliano. Bennett e i suoi alleati non vogliono inimicarsi Putin, perché hanno i russi alle costole, praticamente acquartierati tra Damasco e il Golan. Con loro hanno imparato a convivere e, in qualche modo, anche a spartirsi le zone di influenza siriane. Questo significa, per Israele, un controllo accurato delle milizie sciite telecomandate da Teheran e, soprattutto, il monitoraggio dell’attività di Hezbollah nel sud del Libano.
C’è poi il capitolo delle “fly-zones”, i corridoi aerei condivisi con la “caccia” russa, con cui diventa indispensabile dialogare, momento per momento, per evitare disgraziati incidenti da “miscalculation”. “Haaretz”, però, guarda più lontano e teme che questo giochetto opportunistico, nel lungo periodo, possa finire per danneggiare, in qualche modo, le relazioni tra Gerusalemme e Washington. Anche perché, scrive Pinkas, oggi essere neutrali significa, sostanzialmente, sostenere la Russia. Ma, invece, è proprio nel momento in cui il Presidente degli Stati Uniti chiede al Congresso uno stanziamento “monstre”, 33 miliardi di dollari, che scatta il “turning point” di questa vicenda.
Finite le alchimie diplomatiche, secondo gli analisti israeliani, ora è vera guerra. Ed è quindi scomparsa l’epoca delle neutralità e delle mediazioni. C’è stato un momento in cui Israele ha rifiutato agli ucraini la possibilità di utilizzare le batterie anti-missile “Iron Dome”. Sebbene Biden avesse fatto pressioni in questo senso. Il sofisticato sistema d’arma, infatti, è stato sviluppato congiuntamente dai due alleati e, per contratto, può essere ceduto solo col consenso di entrambi. Bisogna aggiungere, che la posizione israeliana è anche frutto della altalenante politica americana nei confronti dell’Iran. Biden vorrebbe chiudere l’accordo sul nucleare prima possibile, e per ottenerlo è pronto a fare concessioni giudicate troppo generose.
Un atteggiamento che ha raffreddato i rapporti con Israele, ma che ha addirittura guastato quelli con l’Arabia Saudita. Bin Salman, per esempio, nel caso della crisi ucraina, non è mai andato contro la Russia. Certo, gli assetti geopolitici sono talmente scombinati che diventa arduo abbozzare una strategia e mantenerla. Gli equilibri cambiano e le alleanze si rovesciano. In sostanza, pianificare una politica estera di medio-lungo periodo è praticamente impossibile. Una prova?
Non appena Israele ha cominciato ad avvicinarsi al campo occidentale, i palestinesi hanno fatto il contrario. Abbas ha chiamato Putin, che si è messo subito a disposizione. D’altro canto, è inutile dire che la quasi totalità degli Stati arabi, guarda gli Stati Uniti di traverso.