
«Una nuova “disciplina strategica” nascerà dalle ceneri del conflitto», titola sul Sole 24 Ore Ugo Tramballi, amico e campione nella non diffusissima schiera di chi prima studia e analizza e poi scrive. La premessa su cui ragionare è che, dopo la guerra in Ucraina, il mondo non sarà più come prima. «È davvero quello che ci aspetta? A meno che una sconfitta non spinga Vladimir Putin a usare l’atomica, il conflitto non si limiterà invece a provocare qualche modifica, non a rivoluzionare l’assetto internazionale che già conosciamo?». Belle domande, difficili risposte.
Con Tramballi scopriamo che Stephen Wertheim, storico delle origini e affermazione della potenza americana, suggerisce che dalla guerra nascerà una nuova “disciplina strategica”. La descrizione che ne esce non è delle più convincenti. «Un’Europa coesa terrà a bada la Russia nel vecchio continente; gli Stati Uniti si dedicheranno a garantire la sicurezza dell’Asia». Se voi credete a queste affermazioni, invidia per le vostre certezza, perché noi abbiamo invece forti dubbi. Prima di tutto sulla ‘compattezza europea’ che già scricchiola sul fronte gas. Poi l’obiettivo Asia da parte americana già annunciato da Obama, a contenderlo alla Cina.
«Più di una vittoria o una sconfitta di Putin in Ucraina, a frantumare il fronte occidentale sarebbe il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, nel 2024. La minaccia non è ipotetica», ammonisce Ugo Tramballi, risparmiandoci i guai politici dell’amministrazione Biden che noi spesso vi segnaliamo. Trump come «Minaccia più concreta di un’alleanza fra Russia e Cina; e più di uno scontro geopolitico fra mondo democratico e illiberale: questioni comuni come mutamenti climatici, energia, controllo degli arsenali nucleari, commerci, pandemia, governance digitale costringeranno sempre i due fronti a interagire».
I dubbi di molti sulla vicinanza politica e strategica reale tra Russia e Cina. Secondo il notista del Sole 24, «L’aggressione all’Ucraina è più un disturbo che un vantaggio per le ambizioni di Xi Jinping in Asia. E’ la Russia, economicamente declinante, ad aver bisogno della Cina, non viceversa». Ma resta il fatto che la Russia, Putin o meno, continuerà ad avere circa 5mila testate nucleari, 1.500 delle quali in linea, cioè pronte per un uso immediato. «Forte o indebolita, è nella natura della Russia sentirsi potenza: non ha mai abdicato a questo ruolo ne mai farebbe il socio minore di un’alleanza con la Cina».
Sarebbe un colpo di fortuna avere a che fare con una Russia senza Putin: con una Russia democratica è impensabile almeno per una generazione. Anche se più cauti, gli eventuali successori continuerebbero ad avere un’idea grandiosa del loro paese.
Il mondo degli ‘Astenuti’
Poi il resto del mondo “astenuto” nelle spesso inutili censure alla Russia: paesi importanti come India, Indonesia, Messico, Sudafrica, Nigeria, Turchia, Egitto, Arabia Saudita. Non un’adesione a Mosca, ma certamente un voto contro l’Occidente, ribadiscono una schiera vasta di analisti. «A dispetto delle conseguenze economiche globali, quella in Ucraina è una guerra europea, non mondiale», con qualcuno che osserva come le guerre con coinvolgimento diretto Usa, si sviluppino sempre lontano dai confini americani.
Per gli asiatici conta la capacità della Cina Capacità di farsi valere con la persuasione per ottenere il consenso, rileva Tramballi. Per mediorientali e africani il ruolo che Usa ed europei hanno avuto e continuano ad avere nelle loro guerre. Per il Messico il muro anti-emigranti eretto al confine da Trump. «Non è un fronte compatto. Se lo diventerà; se Russia e Cina saranno fragili alleati o uniti in una crociata illiberale», e il mondo di fronte ad un caotico multilateralismo che andrà a definirsi tra mille tensioni e probabilmente nuove guerre.
Paradosso multilateralismo, sempre presente nella retorica politica delle élite europee e americane. Ma, denuncia Alessandro Colombo dell’ISPI, «il tipo di multilateralismo che queste élite continuano ad avere in mente richiama un mondo che non esiste più: un mondo guidato politicamente ed economicamente dai paesi occidentali, stretto attorno alla sintesi vincente di mercato e democrazia e nel quale, appunto, Stati Uniti ed Europa avevano ancora il potere (e si arrogavano, per questo, il diritto) di dettare gli standard di normalità a tutti gli altri».